Dopo l'alluvione

"In Romagna l'uomo ha tradito sé stesso, non la natura”. Parla Maurizio Maggiani

Gianluca De Rosa

L'autore de "Il coraggio del pettirosso" vive da 10 anni vicino Faenza: "Mi sono trasferito qui per guardare l'alba, la gente è protesa verso il giorno che inizia, sarà così anche con l'alluvione"

“Ho sentito che i cosiddetti ecologisti, un nome assolutamente improprio e talmente generico da non indicare nessuno, dicono che i fiumi dovrebbero tornare al loro corso naturale, ma se accadesse davvero la Romagna non ci sarebbe più, il delta del Po comincerebbe a Venezia e finirebbe a Rimini”. Maurizio Maggiani, lo scrittore de “Il coraggio del pettirosso”, è nato 71 anni fa a Castelnuovo di Magra, paese di collina che guarda alle Apuane, tra Liguria e Toscana, ma da oltre 10 anni vive in Romagna, nelle campagne fuori Faenza, tra le cittadine più colpite non solo dall’alluvione del 16 maggio, ma anche da quella, geograficamente più circoscritta, del 3. “Ero stufo di vedere il tramonto e ho detto ‘finisco i mie anni guardando l’alba’ e qui la vedo davvero, la gente è tutta protesa al giorno che inizia, non è retorica”, dice.

E’ convinto che l’uomo abbia responsabilità pesanti su quanto accaduto quaranta giorni fa, non per aver tradito la natura ma, piuttosto, per aver tradito sé stesso, il suo ingegno. “La Romagna – dice – è una terra inventata. A metà 800 il Lamone diede di fuori e inondò metà della provincia di Ravenna, cambiò il corso del Po, creò un nuovo fiume e sommerse tutte le terre coltivabili, i contadini non avevano più né casa, né terra da lavorare, alcuni immigrarono, altri costituirono delle leghe, che sono poi diventate le prime cooperative. Da contadini divennero “scarriolanti”, bonificatori con la carriola. Hanno generato una nuova terra, movimentando centinaia di milioni di metri cubi di terra, rivoltandola, canalizzando corsi d’acqua, un’impresa di ingegneria collettiva precisissima, con canali con pendenza di un decimetro per chilometro che oggi ci si chiede come fu possibile. Da allora, per un secolo, tutto si è retto su un equilibrio sottilissimo, su un patto tra l’uomo e un territorio creato per lavorarlo e ricavarne il pane dall’uomo stesso, negli ultimi cinquanta anni però quel patto è stato dissolto”. Una colpa non solo della politica. “La responsabilità – dice Maggiani – è di tutti non di Bonaccini o di chi lo ha preceduto, è generale, nessuno può dire ‘non conosco il fiume’. Chi ha comprato o costruito la propria casa sulla golena del Lamone lo sapeva che era una golena. E’ vero che ci è chi ha firmato la variante al piano regolatore, ma lo ha fatto sapendo che qualcuno sarebbe stato contento di usufruirne”. Per questo è convinto lo scrittore: “La parola ricostruzione è truffaldina. Significherebbe riportare tutto al 3 maggio, alle condizioni per ritrovarci daccapo la prossima volta, questo ci fa molto più  alluvionati del fango ancora fluido che scorre sotto l’argilla ormai secca che copre i campi dove le coltivazioni saranno ferme per anni. Non serve solo l’aiuto del governo per chi è rimasto senza casa, ma passare da questa condizione psicologica di alluvionati a quella di rigeneratori, serve una nuova Romagna, sta ai giovani ricostruirla, non alla mia generazione che a quel patto tra territorio e uomo ha fatto la guerra”. 


Collettiva la colpa, collettiva la straordinaria reazione. “Qui – dice lo scrittore – tutti hanno un padre, uno zio o un fratello che fa il contadino, c’è un’idea di cooperazione che è prepolitica, è legata alla famiglia allargata che cura i campi, alle cooperative. Ci sono i problemi del singolo, è vero, ma tutti lo sanno e cercano di aiutare”.  Maggiani stesso ospita a casa sua (“ho la fortuna di vivere a quota 105 metri e l’acqua non l’ho vista”) due famiglie. “Ci sono storie straordinarie”,  racconta. “Al palazzetto dello sport di Faenza sono state sfollate un centianio di famiglie che già il giorno dopo erano state tutte sistemate, ma una dozzina di anziani  si è rifiutata di accettare la nuova sistemazione, in una notte avevano fatto amicizia e volevano restare assieme”. 

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