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A New York

La mitica sede del vecchio Whitney Museum va a Sotheby's. Fine di un'èra

Francesco Bonami

Lo storico museo di arte americana si è spostati nel 2014 nel Meatpacking District disegnato da Renzo Piano. La vecchia sede prima è stata affittata al Metropolitan Museum e alla Frick Collection, un'edificio nato per esporre diverrà una casa d'aste dove chi comprerà le opere, le nasconderà al mondo

Ai più la vendita alla casa d’aste Sotheby’s da parte del Whitney Museum dello storico blocco di cemento al 945 di Madison Avenue, all’altezza della 75ma strada, non dirà nulla ma per il manhattancentrico mondo dell’arte contemporanea la notizia è uno choc, un terremoto e forse una catastrofe, in sintesi la fine di un’èra. Un’èra in cui i musei facevano la differenza nella carriera creativa ed economica di un artista. Il denaro non rende felici, ma come diceva quel comico “quelli che non ne hanno sono incazzati come delle bestie”. Questa considerazione è verissima quando si parla del sistema dell’arte: artisti, galleristi, collezionisti e curatori. Il successo coincide sempre di più con la dichiarazione dei redditi e le proprietà immobiliari. Un tempo era diverso, non necessariamente migliore anche se leggermente più romantico e sexy. L’inversione di tendenza, con i musei che iniziano a perdere potere a favore delle gallerie private o le Biennali che iniziano ad arrancare dietro le fiere d’arte, è  iniziata subito dopo la grande crisi economica del 2008. Da allora il denaro ha cominciato a scorrere a fiumi e i prezzi delle opere d’arte, anche di giovanissimi sconosciuti, a salire sconsideratamente. Le case d’asta a farla da padrone. 

L’edificio appena acquistato da Sotheby’s è un capolavoro dell’architettura brutalista disegnato nel 1966 da Marcel Breuer, una delle più importanti figure della scuola della Bauhaus. Per mezzo secolo è stata la mitica sede del Whitney Museum di Arte americana che nel 2014 si è trasferito in una nuova e più grande sede, disegnata da Renzo Piano, nel Meatpacking District. Gli spazi del vecchio Whitney non erano i soliti cubi bianchi asettici e anonimi, possedevano un’identità forte fatta di pietra e cemento, che tuttavia funzionavano benissimo per le mostre, senza competere con le opere d’arte. Vero segreto della grande architettura museale. Per capirsi, il Maxxi di Roma è esattamente l’esempio opposto del Whitney. Non brutalista ma solo terribilmente brutale. L’architettura dell’edificio di Breuer è inconfondibile, essenziale e ideale. Ho avuto la fortuna e l’onore di sperimentarla curando nel 2007 una mostra dell’artista altoatesino Rudolf Stingel e nel 2010 la biennale del Whitney di arte americana prima che si spostasse, per mancanza di spazio, nel sud di Manhattan. Da allora il Whitney ha affittato il vecchio edificio. Prima al Metropolitan Museum che lo ha utilizzato per mostre di arte contemporanea, poi alla Frick Collection che è l’attuale inquilino in attesa che sia finito il rinnovamento del proprio edificio sulla Quinta strada. La Frick ha usato gli spazi per mostre di arte antica dimostrando la geniale versatilità dell’architettura di Breuer. La vendita di questo edificio, un landmark che fa parte del patrimonio urbano di New York, a Sotheby’s è un po’ come se Benetton, anche se è di Treviso, comprasse la Basilica Palladiana di Vicenza, rispettandone sì le caratteristiche architettoniche ma di fatto usandola come un enorme negozio. Che il Whitney abbia venduto l’edificio non meraviglia, i musei hanno sempre bisogno di soldi: cento milioni, che pare il prezzo pagato, non sono pochi, ma nemmeno troppi. Il problema sta nel fatto che il Breuer Building non era più semplicemente un edificio ma era diventato un’opera d’arte né più né meno come una delle tante opere d’arte che il Whitney ha nella propria collezione e che per statuto non può vendere, anche se magari valgono più di cento milioni, se non per comprare altre opere d’arte. Quindi la logica vorrebbe che il Breuer Building potesse essere venduto ma a patto che il nuovo acquirente fosse obbligato a mantenere la sua destinazione d’uso, ovvero quella di museo o di fondazione privata impegnati a fare mostre o a esporre le proprie collezioni. Una casa d’aste sta al museo come un negozio di Vuitton sta al Battistero di Firenze. Non si possono sovrapporre l’uno all’altro. Anche se entrambi fanno parte dell’indotto cittadino. 

Per capire quanto siano cambiate le cose bisogna ricordare che il più grande mercante europeo del dopoguerra, Ernst Beyeler, nel 1982 commissionò, sempre a Renzo Piano, un museo appena fuori Basilea, inaugurato nel 1996, dove mostrare la propria collezione privata aprendola al pubblico. Presto nel nuovo Sotheby’s Breuer i collezionisti andranno a comprare l’arte nell’ex museo per poi nasconderla al mondo, appendendola alle pareti delle loro case disegnate da qualche erede ruspante di Marcel Breuer o Philip Johnson, tipo Peter Marino. Si conclude forse così un ciclo della storia dell’arte e magari della storia e della funzione dei musei. Inizia un nuovo ciclo che Musil chiamerebbe “Kunst ohne Qualität”, “L’Arte senza qualità”.

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