Yasmina Reza (Foto di Pascal Victor)

Il libro inedito in Italia

Yasmina Reza ha la qualità più importante per chi scrive: saper vedere

Marco Archetti

Anche in “Conversazioni dopo un funerale”, scritto a soli ventitré anni e ora pubblicato da Adelphi, la sceneggiatrice francese rivela le sue doti migliori. Una drammaturgia che ha molto da insegnare e dove a parlare è il sottotesto

“Non è proprio uno spasso la famiglia, eh?” Si dovesse riassumere cento pagine in una riga, inevitabile scegliere questa. Perché no, non è sempre uno spasso. E tuttavia senza ipocrisie, inganno, invidia e rapporti di potere, si darebbe letteratura? Non quella che vale la pena di leggere. Trattasi, da sempre, di ingredienti fondamentali per ogni scrittore. Per la serie “come trasformare lo sterco in oro” – lo sterco delle delusioni, della vita che non è andata dove doveva e come doveva, della consanguineità che si ribella a sé stessa –, ecco, fresco fresco, questo Conversazioni dopo un funerale (Adelphi, 120 pp.,  12 euro). Un testo teatrale di qualche anno fa, pubblicato per la prima volta in Italia, che ha moltissimo da insegnare. Yasmina Reza l’ha scritto quando aveva ventitré anni, dopo aver preso la decisione di smettere di recitare. “Mi sono subito resa conto” – ha ricordato in più di una intervista – “che era una vita terribile: dovevo andar dietro ai desideri degli altri. Così mi sono detta che aspettare non poteva essere un destino. Sapevo, più o meno, di possedere un piccolo talento nello scrivere, adoravo il teatro, e quindi ho provato a scrivere una pièce. Ho avuto l’intelligenza di non scrivere un ruolo per me stessa, e poi ho aspettato a lungo per portarlo in scena.” 

 

Detta così è semplice. Per chi ha quel piccolo talento – che piccolo non è – e sa “più o meno” ciò che, in realtà, sa benissimo, il gioco è quasi fatto. Si tratta, prima di tutto, di mettere bene a fuoco. E qui andiamo sul sicuro, perché se c’è un giudizio difficile da smentire è che Yasmina Reza sia in possesso della qualità più importante per chi scrive, qualunque cosa scriva: saper vedere. Sa vedere, sa cosa ha visto, sa con quale parole raccontarlo. Non sfugge alla regola nemmeno questa croccante drammaturgia. Poco fortunate, finora, le messe in scena in Italia, vai a sapere perché; forse perché non ti regalano niente – nessuna certezza, nessuna rassicurazione, nessuna ironia facile da decifrare – o forse perché ti regalano tutto, chiarezze dolorose comprese – come se ne esistessero di zuccherate. Una, tanto per cominciare, è la morte. È infatti il funerale del padre l’occasione di ritrovo forzato per i tre fratelli Nathan, Edith, Alex. E la morte è centrale, ovviamente, ma fino a un certo punto. Perché poi c’è tutto il resto a squadernarsi – i ricordi, i dissidi del passato che riaffiorano inaciditi nel presente, le piccole inopportunità dovute alle differenti concezioni di ooportunità. Ci sono verdure da perlare, un’auto in panne, “mi fermo o non mi fermo per la notte?”, la vita che scorre, sordamente in ebollizione, sotto la superficie apparentemente tranquilla di quella che conduciamo ogni giorno. “Stammi a sentire, Édith”, dice a un certo punto Nathan. “Finora questa giornata è trascorsa senza sconvolgimenti, se così si può dire. Siamo persone civili, soffriamo secondo delle regole, ognuno trattiene il fiato, niente tragedie. Perché, in fin dei conti, non lo so. Ma è così. Io e te prendiamo parte a questo sforzo di dignità”.

 

Ognuno vaga tra i propri cocci cercando di tenerli insieme. Ognuno cerca di nascondere i punti di sutura. “Avevo questo genere di idee folgoranti a vent’anni”, dice a un certo punto Alex, “ma al posto di tutto questo ho avuto lo scenario quotidiano, la piccola ferita al centro del mondo, la sequela interminabile dei desideri, dei passi, dei gesti inutili. Il labirinto dei sentieri inutili…”. Vecchiaia, malattia, morte. La vita come doveva essere, ma doversi accontentare. È questo che spira da queste pagine che sembrano chiacchiericcio ma che, caratteristica di ogni copione che si rispetti, fanno parlare il sottotesto, più che il testo. E Reza è la regina del sottotesto: ci dice quel che ci dice, ma tra le righe brucia altro, e quanto più è celato da chi parla, tanto più emerge – è così che si mettono in campo le forze imponenti e gli invisibili attriti che ci scaraventano in guerra a nostra insaputa. A complicare tutto, anche Pierre, il fratello della madre, la moglie Julienne, e ovviamente Élisa, ex fidanzata di Alex. L’inferno sono gli altri, questo è certo. Ma il paradiso, altrettanto certamente, non siamo noi.

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