come gira il mondo

Se solo applicassimo la regola di Khaby Lame: semplificare secondo verità

Guido Vitiello

Il tiktoke ha trovato a vent’anni il Santo Graal, ha scoperto cioè la legge fondamentale che regola il funzionamento della nostra civiltà in un numero di ambiti in preoccupante aumento: banalizzare le cose complesse e complicare quelle semplici

Confesso, per mesi ho guardato e riguardato i video silenziosi del tiktoker Khaby Lame come si assiste a una pantomima eleusina, o come Parsifal quando gli sfila davanti la processione muta di valletti e damigelle che ostendono simboli enigmatici, e resta misticamente sconcertato. Insomma, intuivo che c’era una lezione da capire, un oracolo di qualche tipo da decifrare, ma non avevo idea di quale fosse. Khaby Lame, lo sa grosso modo chiunque abiti sul pianeta Terra, nei video che lo hanno reso famoso segue sempre una classica ed elegante struttura in tre atti: guarda un tutorial in cui si danno macchinosissime istruzioni per compiere un’operazione banale – sbucciare una banana, infilarsi le scarpe, aprire una lattina, versare una bibita –, poi compie la stessa operazione nel modo più ovvio e diretto, infine con uno sguardo perplesso e con un gesto illustratore dei palmi delle mani aperte sottolinea la vacuità della complicazione non necessaria. Fine.

 

Dove avevo già visto questa sequenza? Beh, l’avevo vista pressappoco ovunque – ed ecco che l’illuminazione è scesa per incanto sul Parsifal perditempo che sono. Khaby Lame ha trovato a vent’anni il Santo Graal, ha scoperto cioè la legge fondamentale che regola il funzionamento della nostra civiltà in un numero di ambiti in preoccupante aumento, e che produce per sovrammercato ogni sorta di mestieri inutili, gadget inutili, manuali inutili, attivismi di Instagram inutili, riunioni lavorative inutili, comitati inutili, master inutili, training aziendali inutili, scuole di scrittura inutili, fonemi inclusivi inutili, neopronomi inutili, decostruzioni inutili, fattispecie giuridiche inutili, commissioni parlamentari inutili, leggi inutili, interventi di assistenza sociale inutili, psicoterapie inutili, settori accademici inutili, burocrazie inutili o comunque più inutili del solito. 

 

Lo schema è lo stesso: atto primo, si riconcettualizza come “problema” qualcosa che a diventare problema era tutt’altro che destinato (a volte si tratta di problemi del tutto immaginari, come riordinare un armadio, altre volte di quelli che un tempo si sarebbero chiamati fatti della vita, sventure che l’umanità si era acconciata bene o male a risolvere per vie di saggezza informale); atto secondo, si scompone il problema così creato in una serie di operazioni da compiere in un ordine rigoroso, si propone una soluzione il più possibile cervellotica e dispendiosa – laminata però di gerghi simil-specialistici e di nozioni circondate dall’aura esoterica del tecnicismo –, si crea un esercito di specialisti che reclamano una competenza esclusiva o preminente su tutta la procedura di intervento, dopodiché… Dopodiché l’atto terzo non arriva mai, e ci ritroviamo a invocare un deus ex machina che cali sulla scena per compiere il gesto catartico di Khaby Lame. 

 

Il mondo è un habitat ben complesso, ma a volte viene qualche legittimo dubbio sull’ordine delle cause – se cioè sia il continuo affacciarsi dei problemi a imporre l’invenzione di soluzioni nuove, o se sia il moltiplicarsi dei tecnici solutori a indurre la germinazione di problemi posticci. Senza dubbio sono vere entrambe le cose, come chiunque può verificare nell’ambito con cui ha più dimestichezza (nel mio orticello, l’università, non ci facciamo mancare nulla); e chissà che le guerre politiche degli ultimi anni non si possano leggere anche così, un duello esasperante tra i semplificatori di problemi complessi e i complicatori di questioni semplici, che si cambiano costantemente di posto nello schieramento politico. Che sogno sarebbe, per esempio, un video di Khaby Lame sull’Ucraina, con tanto di gesto delle mani aperte da montare in coda a ogni intervento dei professori complessisti da talk-show! Per fortuna, non siamo obbligati a scegliere tra il falso buonsenso dei banalizzatori e i falsi lumi dell’intelligenza pianificante, sistematica, capillare, complessificatrice.

 

Diceva Leonardo Sciascia che il compito dell’uomo di lettere – ma io aggiungerei: il compito di chiunque sia chiamato a usare la ragione – si può riassumere in un motto: semplificare secondo verità. Khaby Lame ha formulato la stessa regola aurea con un gesto silenzioso, e anche solo per questo merita di essere diventato milionario.
 

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