Natura e cultura

Il treno è metafora di un progresso costoso, struggente e inarrestabile

Sergio Belardinelli

Vecchie locomotive tra le colline e pensieri sul nostro domani. Nel loro avanzare c'è una sorta di potenza rassicurante, ma può capitare che l'armonia si rompa: l'uomo allora dovrà imparare a reagire e a ricostruire

L’avanzare fischiando della vecchia locomotiva a vapore tra le colline della linea Fabriano-Pergola rappresenta per me l’essenza stessa del treno. Per osservarla ci appostavamo sulle alture circostanti, scattavamo fotografie, presagendo che prima o poi non l’avremmo più vista. Il movimento dell’asse che collegava le sue grandi ruote d’acciaio faceva pensare che dentro ci fosse qualcuno a pedalare. Immaginavamo così la pedalata distesa e potente di Coppi e Bartali temerariamente in fuga solitaria in pianura e quella addirittura entusiasmante delle loro fughe in salita, resa più entusiasmante ancora da una sorta di tremore che da un momento all’altro potessero piantarsi sui pedali. Di quella locomotiva sento ancora lo sbuffare; vedo il fumo denso uscire e quasi aggrapparsi ai primi vagoni, prima di disperdersi verso l’alto, tra gli alberi, senza mai riuscire a raggiungere il cielo; la sua bellezza esaltava ed era esaltata dalla bellezza della natura circostante; conservo ancora vive nella memoria le visioni bislacche nel torpore dei viaggi d’inverno.

 

Niente di strano dunque che il treno abbia nella mia mente un fascino speciale. L’automobile va, l’aereo vola, invece il treno avanza. C’è una sorta di potenza rassicurante in questo avanzare. Mio nipote di quattro anni starebbe a guardarlo dalla mattina alla sera. Gran parte delle cose che conosce credo che siano in qualche modo collegate ai treni; li chiama tutti per nome; ha imparato a leggere i numeri degli autobus per riconoscere quelli che vanno in stazione; ha imparato a fare le somme per sommare il costo dei biglietti; si inventa i cibi più esotici perché pensa al vagone ristorante; sale su improbabili treni che volano o che vanno sott’acqua perché deve arrivare a Chicago; sta imparando persino la geografia grazie ai viaggi immaginari che fa in treno. Indicibile la gioia che lo illumina ogni volta che per strada, roteando i gomiti più o meno velocemente a seconda del treno dove dice di essere salito, grida: “Andiamo!”. Poi mi guarda, ride e aggiunge: “anzi, avanziamo!”. Un po’ come in “C’era una volta il West” di Sergio Leone, col suo avanzare il treno è metafora di un progresso, costoso e magari struggente, che però non può essere fermato. L’arrivo della locomotiva tra gli operai che lavorano febbrilmente alla costruzione dei binari, l’ultima immagine di questo film bellissimo, rappresenta un’ineguagliabile apologia del treno. La grande prateria e la stessa sensualità di Claudia Cardinale vengono come sottomesse dal suo avanzare; si capisce benissimo che d’ora in poi nulla sarà più come prima; gli indiani i cowboy, i pistoleri, il selvaggio West, tutto è finito. Eppure nulla sembra perdere la sua bellezza. Natura e cultura che, grazie a quel treno, si compenetrano e si esaltano a vicenda.

 

Ma può anche succedere che per qualche motivo quest’armonia si rompa. L’alluvione che ha colpito le Marche il 15 settembre dello scorso anno ha prodotto danni incalcolabili in tutta la valle del Misa fino a Senigallia e nelle valli dell’entroterra pesarese. Borghi, quartieri, strade sommersi da una massa incredibile di acqua e fango. Per molti tratti la furia dell’acqua si è portata via persino la massicciata su cui appoggiavano i binari della linea ferroviaria Fabriano-Pergola, lasciandoli come rami secchi sospesi per aria. Uno spettacolo surreale e una devastazione inenarrabile. Una sorta di crudele rivincita della natura sulla cultura degli uomini. E da allora il treno non avanza più. Già da prima era diventato invero una più modesta littorina, solo saltuariamente a disposizione di turisti innamorati del paesaggio marchigiano. Ma per fortuna questa è soltanto una parte della storia. Subito dopo il disastro dell’alluvione, infatti, sono ripresi i lavori di ripristino e presto la ferrovia tornerà come prima. Un sorprendente esempio di vicinanza alle popolazioni dell’entroterra, di tenacia e di volontà di non soccombere che ben si addice al treno che avanza. Di nuovo cultura, appunto.

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