Foto di Stefano Porta, via LaPresse 

Da domani in libreria

"Poverina". Io, ma anche il mio libro. Chiara Galeazzi si racconta

Chiara Galeazzi

Un’emorragia cerebrale a 34 anni, con la paralisi di gamba e braccio sinistri. Il ricovero e la riabilitazione, con tante storie buffe da raccontare. Così è nato un resoconto senza eroismi né piagnistei

Amazon è il paradiso della fisioterapia. Si trovano bite automodellanti per chi digrigna i denti a metà del prezzo da farmacia. Tappetini con centinaia di punte di plastica che imitano l’agopuntura a un terzo del prezzo che hanno nei negozi dei fricchettoni. Elastici per esercizi posturali di qualsiasi colore e resistenza. Pistole massaggianti sotto i 50 euro che funzionano come quelle sopra i 200. È stato il mio fisioterapista a mostrarmi tutti questi link. Avevo cominciato ad andare da lui a marzo 2022 per concludere il mio recupero post emiparesi da emorragia cerebrale e con il nuovo anno si è dovuto occupare delle conseguenze sulla mia schiena della scrittura di un libro su quella emorragia. Durante una seduta, dopo avermi abbracciata forte e fatta ruotare violentemente nel tentativo di sbloccare le vertebre dorsali incollate da abuso di scrivania, mi disse serissimo: “Stavi meglio con l’ictus”.

Quando a ottobre 2021 il medico del pronto soccorso mi disse che quello che stavo avendo non era un attacco di panico così forte da bloccare gamba e braccio sinistri, ma un’emorragia cerebrale abbastanza leggera da bloccare solo gamba e braccio sinistri, pensai che questa storia era troppo divertente per non farci qualcosa. Un mese e mezzo dopo, appena uscita dalla riabilitazione, avevo decine di storie buffe appuntate in chat su WhatsApp dell’esperienza ospedaliera. A una settimana dalla dimissione, il direttore Claudio Cerasa, ignaro di tutto (perché non mi segue sui social, cosa che capisco, ma un po’ fa male), mi chiese se avevo qualcosa da scrivere. Gli proposi un racconto sui No vax che mi diagnosticarono un inesistente effetto avverso da vaccino e si rallegrarono online di una mia possibile disabilità.

Pubblicato in un lunedì post natalizio, mostrai quelle pagine alla casa editrice che mi aveva sotto contratto e dissi, “Come vedete ci sono molte cose che fanno ridere di un ictus, credo dovrei farci un libro”. Immagino ci siano varie ragioni per cui il direttore editoriale di Blackie Edizioni non si oppose, prima fra tutte che gli promettevo un libro dal 2019 e da allora avevo scritto sì e no 30 pagine, quindi che arrivasse una proposta fatta con entusiasmo e con già 20 mila battute scritte era un buon segnale. La seconda è che le persone dicono sì a tutte le proposte fatte da qualcuno che ha avuto un ictus, forse perché non si vuole essere i primi a togliere il sorriso a chi ha passato un periodo difficile, a differenza di quei cattivi dei neurologi che sono tutti un no: non bere, non fumare, non fare il sudoku subito dopo l’emorragia, che noia!

Con grande slancio, stabilimmo come data di consegna della prima stesura la fine del 2022, che più realisticamente divenne febbraio 2023, con il grande obiettivo di uscire ad aprile 2023. “Così andiamo al Salone”, mi diceva il direttore editoriale, e io felice pensavo a quanti libri dell’Astrolabio-Ubaldini sullo zen avrei comprato in fiera facendomi pagare viaggio e alloggio. Non mi passava neanche per la testa che il motivo per cui sarei andata al Salone non era fare una gita, bensì fare autopromozione, un’attività che mi imbarazza e che non so fare, come si può intuire da questo pezzo che sarebbe un tentativo di promuovere il mio libro e invece sembra che voglio vendervi il mio mal di schiena.

Entro la fine dell’estate scrissi un buon numero di pagine, ma non riuscii ad andare avanti finché a ottobre non feci la risonanza magnetica di controllo che escluse operazioni o recidive, due cose che avrebbero rovinato il finale del libro che avevo in mente oltre che il mio umore. A quel punto però ero molto a ridosso della scadenza e dovetti accelerare la scrittura che prima era qualche ora a settimana, così, quando ero “ispirata”. Per farla breve, scrissi metà libro con l’ansia di non avere il finale sperato, l’altra metà con l’ansia di non chiuderlo in tempo per la mia gita. Non era la visione romantica della scrittura che avevo in mente, con il romanzo che esce dopo sette anni e cinque stesure, ma se non avessi avuto una scadenza incombente sarei ancora qui a descrivere come la luce al neon della stroke unit rifletteva sulla superficie liscia e lucida della scamorza al forno dei pranzi dell’ospedale Niguarda di Milano.

La seconda parte della stesura fu sfiancante in un modo tutto nuovo. Oltre a molto materiale comico, l’ictus mi ha lasciato un problema con la sensibilità di braccio e spalla sinistri: qualsiasi input interno o esterno si trasforma in un formicolio esteso in tutta la zona. Per quel che riguarda gli input esterni, se non vedo chi o cosa mi sta toccando, non riesco neanche a capire cos’è: qualcosa di appuntito, liscio, morbido, un dito, un rametto, la zampa di un gatto, tutto uguale, tutto formicola. Se passeggiando con qualcuno quello mi prende a braccetto sul braccio sinistro, il formicolio diventa costante e molto distraente, quindi devo sfilarmi dicendo cose come “Aspetta che questo è il braccio dell’ictus”, rovinando l’atmosfera gioiosa con degli stupidi paroloni. Ho provato anche a non dire nulla per spostarmi io sul lato destro, ma quei secondi di allontanamento hanno generato sguardi così tristi che preferisco intristire tutti con i paroloni che passare solo io per stronza.

Gli input interni sono per loro caratteristica invisibili quindi indecifrabili, diciamo che qualsiasi piccola contrattura, rigidità o postura errata che sul lato destro è percepibile come un dolorino, a sinistra diventa un costante formicolio su spalla e braccio fino al gomito. Non solo è molto distraente, ma ha anche il problema di essere la stessa sensazione che provai all’inizio dell’emorragia cerebrale, e per quanto abbia fatto un grande lavoro di razionalizzazione, il primo pensiero è sempre: “Eccallà”. 
Il mio fisioterapista sosteneva che i problemi principali erano che serravo la mascella durante la scrittura e che non tenevo una postura corretta. Questo affaticava muscoli mai sentiti nominare con gli effetti di cui sopra. Il formicolio non passa con antinfiammatori orali o locali, ma i cerotti autoriscaldanti riescono a fare il miracolo.

“Ottimo, vuol dire che sono principalmente contratture”, diceva il mio fisioterapista mentre faceva avanti e indietro con l’elettrodo della tecarterapia sulla mia spalla, io ero meno felice di lasciare al farmacista 25 euro per sei cerotti tutte le settimane. Ogni volta che il collo cominciava a sudare, pensavo alla gita a Torino: del salone del 2022 ricordavo il caldo atroce, come avrei fatto nel 2023 a sopportare un coppino bollente tra i già bollenti stand? E soprattutto, come si abbina il cerotto autoriscaldante all’abbigliamento estivo?

Il giorno di febbraio 2023 in cui consegnai l’ultimo capitolo del libro mi passò tutto. Dormii come un bebè anche i successivi giorni di editing vario e rimpallo di bozze, fino a quando il direttore editoriale stabilì che quella che arrivava sarebbe stata l’ultima lettura e che la settimana dopo saremmo andati in stampa. Fu a quel punto che mi resi conto che nel libro non c’ero solo io e il mio ictus, ma un sacco di altre persone (tenute opportunamente anonime, in molti casi perché neanche so come si chiamano) che potevano non gradire di essere raccontate in un libro, anche solo per una manciata di parole. 

Leggevo “Leggenda privata” di Michele Mari nel periodo della consegna finale e ogni volta che posavo il libro sul comodino mi chiedevo: come fanno gli scrittori che raccontano i fatti loro a dormire la notte? Li serrano i denti? Mari li usa i cerotti riscaldanti? Emmanuel Carrère, con quella storia della ex moglie dopo la pubblicazione di “Yoga”, ce l’aveva un fisioterapista che gli faceva la tecar sulle contratture? Purtroppo non conosco personalmente questi due scrittori per fare domande così intime, in compenso conosco due ragazze che hanno scritto libri dove raccontano nel dettaglio il pene di altri due ragazzi che conosco, e di uno di questi due ho le prove che la descrizione è tutto sommato accurata.

Ovviamente in questi romanzi i nomi sono cambiati, i dettagli sono sfumati (dettagli biografici, non c’era niente di sfumato riguardo ai peni), però era chiaro che fossero loro le protagoniste e gli altri i loro amanti. Bastava incrociare due dati e chiedere a qualche intermediario per risalire a tutta la vicenda. Forse tra qualche anno i libri coi peni camuffati (e vulve camuffate, ne sono certa) avranno una dicitura ufficiale di genere e degli scaffali dedicati in libreria. Comunque le due conoscenti mi sembra che tutto sommato dormano sonni tranquilli. Anche i due ragazzi, ma quello perché le descrizioni erano molto lusinghiere. 

Quei giorni di mortificazione e serramento di denti non portarono a tagli o modifiche. Il libro andò in stampa com’era, perché preferivo un cerotto ustionante sulla schiena che cambiare un testo col rischio di renderlo meno divertente. Ero sicura di questa decisione, almeno a un livello conscio.

Per una serie di coincidenze e ritardi, nell’ultima fase di scrittura del libro mi sottoposi a degli esami del sangue per escludere in maniera definitiva alcune possibili cause, e per dei valori molto specifici i risultati sarebbero arrivati “entro il 4 aprile”, la data in cui avrei annunciato l’uscita del libro. Quando il testo andò in stampa a marzo, non temevo di avere dei valori sballati, ma che il referto arrivasse dopo quella data. La notte sognavo che, a causa di qualche ritardo, mandavo la mail al mio neurologo a libro già annunciato. Nel sogno, alla mail rispondeva direttamente la struttura ospedaliera:

“Buongiorno Chiara, sono l’Ospedale Niguarda. Ho letto dell’annuncio del libro, sento già che farai delle battute sul tuo soggiorno qui, per cui queste analisi te le puoi mettere, come direbbero al reparto di gastroenterologia, nel colon-retto.”

“Gentile Ospedale, ma se non ho che parole di riconoscenza per te! E comunque non faccio mezzo nome, la maggior parte del personale non l’ho mai vista senza mascherina, non saprei neanche riconoscere il mio neurologo per strada. Aggiungo che ci sarebbe quella cosa lì del giuramento di Ippocrate, mica puoi vietare ai tuoi medici di curarmi così dal niente”.

A questa mail l’Ospedale rispondeva solo “E invece…” allegando un file da 14.9 mb salvato col nome giur_ippocrate_def_FINAL.jpg in cui si poteva leggere il papiro originale del giuramento dal greco antico (che nel sogno conosco bene) con una piccola postilla: “Ci si ritenga sollevati da qualsiasi obbligo verso il malato se quello, una volta guarito, dovesse mettere in commedia l’accaduto, il vostro operato o qualcosa di inerente alla struttura di cura, tipo la lucentezza delle scamorze al forno servite come vivanda”. Lo stupore di trovare in un testo del IV secolo avanti Cristo riferimenti alla scamorza al forno mi svegliava. 

I risultati degli esami mi arrivarono ben prima dell’annuncio. Il neurologo mi rispose felice per i valori tutti nella norma con ben tre punti esclamativi sui saluti. Chissà quanti ce ne saranno dopo l’uscita del libro. 

In questa fase di notti insonni, di giorno invece del formicolio avevo dei giramenti di testa da rigidità alla cervicale, una zona che il mio fisioterapista non mi voleva manipolare con una di quelle belle scrocchiate da allevatore di polli di una volta raccontandomi del libro del mio collega di genere letterario (il genere “ictus”) Andrea Vianello, in cui descrive una possibile correlazione tra la dissezione della carotide e una manipolazione al collo che aveva fatto un paio di giorni prima. “Non posso manipolarti direttamente, dobbiamo trovare altre strategie”, disse. Cominciai a pensare che forse non era così difficile mettere tutto il libro in terza persona, farmi chiamare “Laura” o “Marta”, inventare il nome di un ospedale e dire a tutti che era un romanzo fiction, ma che per scrupolo era meglio se non mi toccavano il braccio sinistro come alla protagonista del libro, “Ma è solo una coincidenza”.

Mentre scrivo questo testo mi tirano i due punti messi dopo l’estrazione di un dente del giudizio. Pare che la rimozione dei denti del giudizio sia fondamentale per poter fare un bite contro il serramento, che secondo il fisioterapista dovrei indossare quando dormo ma anche a tempo perso nella speranza che i problemi alla cervicale, i giramenti e i formicolii non si presentino anche una volta che il libro è uscito. Poverina. Io, ma anche il libro. In libreria da domani.

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