(foto Wikipedia)

mitico cinegiornale

La Settimana Incom forgiò l'identità nazionale. Spunti per l'informazione futura

Giacomo Giossi

Nonostante gli evidenti limiti quel cinegiornale ebbe una forza quasi maieutica, perché rappresentando un paese così come lo immaginava la sua classe dirigente, finì per far aderire milioni di italiani a quegli stessi presupposti di modernità ed emancipazione. Il libro di Fiamma Lussana

Sono anni, per non dire decenni, che si parla di una riforma della Rai che inevitabilmente si incaglia tra visioni che la vorrebbero più legata al mercato e un inestricabile legame sempre più soffocante con la politica. Il cosiddetto spoils system all’italiana è infatti degenerato in un non meglio traducibile volemose bene de noantri. Di certo chi vede nello spettro della partecipazione politica solo un elemento di mero controllo non ha favorito alcuna evoluzione del discorso o riforma concreta. E in tal senso è di grande aiuto Italia in bianco e nero (Carocci, 28 euro), il testo che la storica Fiamma Lussana dedica alla riforma della “Settimana Incom” e al suo sviluppo post fascista dal 1946 al 1956. 

Dalla caduta del fascismo sarà infatti proprio la Settimana Incom a definire l’identità repubblicana del paese. Dopo la Liberazione, il notiziario Luce con i suoi cinegiornali ha evidentemente perso ogni possibile credibilità, così legato e intrecciato a doppio giro con i gradi e la propaganda del regime. Si dà così spazio alla Incom, fondata nel 1938 da Sandro Pallavicini e che fino ad allora si era sempre occupata di documentari di attualità. Ma quale era l’idea di attualità nell’Italia post fascista del 1946? Con la caduta della monarchia si assisteva a un inedito confronto politico non privo di tensioni anche aspre fra democristiani e comunisti. Il paese, frantumato tra diseguaglianze abnormi e condizioni sociosanitarie allo stremo, aveva bisogno di riferimenti chiari e lo sport (quindi il calcio) e il cinema divennero i collanti ideali della nazione. 

 

La diffusione della televisione era ancora tutta da venire e la sala cinematografica – dopo la chiesa – era l’unico luogo in cui tutte le classi sociali trovavano spazio e potevano anche relativamente mischiarsi. Al cinema così si parlava, si mangiava, si fumava, ci si innamorava ovviamente, e infine si dava spazio a un’idea di mondo e di nazione fino ad allora blindata dal controllo del regime. Il cinema americano, che la brillante strategia andreottiana aveva dirottato sul Tevere, con i suoi film e le sue star globali divenne il luogo in cui gli italiani poterono dare forma a desideri e aspirazioni.

 

La Settimana Incom si poneva come preludio di quello che sarebbe stato il Boom economico. Gli Stati Uniti non erano solo un riferimento culturale e cinematografico, ma anche la parte di mondo a cui l’Italia era ancorata all’interno di una Guerra fredda che stava allora prendendo forma. Eppure nonostante gli evidenti limiti quel cinegiornale ebbe una forza quasi maieutica, perché rappresentando un paese così come lo immaginava la sua classe dirigente, finì per far aderire milioni di italiani a quegli stessi presupposti di modernità ed emancipazione. L’America risultò così un mito attraverso cui forgiare la nuova visione metropolitana interpretata da Roma e in particolare da Milano, che proprio in quegli anni definisce una vera e propria alterità stilistica rispetto alla capitale. 

La ricerca di Fiamma Lussana ci permette di comprendere il contesto storico da cui provengono anche molti dei vizi contemporanei che ci assillano, ma delinea anche la necessità di una visione da parte della classe dirigente che vada ben al di là dei cachinni e degli affarucci quotidiani. Appellarsi ogni volta al cosiddetto carattere degli italiani ha senso solo per coglierne le opportunità per governare, prendendo decisioni e offrendo una visione possibile di futuro. In alternativa si riduce a uno sterile lamento, alla perenne giustificazione retorica di un ormai malconcio Machiavelli. 

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