Foto di Alessandro Di Marco, via Ansa 

Il consiglio

“Album di famiglia” di Ferrero: forse il miglior libro dell'editore-scrittore

Alfonso Berardinelli

Lui li ha conosciuti bene. Una collezione di ritratti per un'opera sulla letteratura: “Gli autori di cui ho raccontato in questo libro hanno dedicato alla scrittura un impegno assoluto, totalizzante. Forse questo album è proprio un romanzo della scrittura”

Quanto limitativa e insidiosa può essere l’autobiografia, tanto è felicemente liberatoria la ritrattistica. Il genere letterario a cui appartiene il ritratto è il saggio narrativo, in cui la descrizione dal vivo e dal vero di singoli individui conosciuti nel corso della vita diventa romanzo senza volerlo: romanzo senza trama visibile, o con molte trame potenziali, o la cui trama è suggestivamente implicita.

 

Sto parlando del libro di Ernesto Ferrero Album di famiglia. Maestri del Novecento ritratti dal vivo (Einaudi, pp. 323, euro 21), il miglior libro, credo, di questo scrittore. Un libro che non conosce momenti di opacità, sempre ispirato, illuminante e divertente. Una perfetta raccolta di esercizi di memoria, un saggio morale e civile non sviato da categorie intellettuali, che non perde mai in vivacità, acutezza, umorismo e quel fantasioso gusto della varietà che è suscitato dalla contemplazione di quanto gli esseri umani incontrati nell’arco di mezzo secolo fossero tanto singolari quanto meravigliosi. La felicità di un tale libro è nel suo essere sia un bilancio culturale del secondo Novecento in chiave di autobiografia indiretta, sia la gratificante constatazione di quanto fortunata è stata la sorte di chi, come Ferrero, ne ha incontrato molti protagonisti: “Gli autori di cui ho raccontato in questo libro hanno dedicato alla scrittura un impegno assoluto, totalizzante. Forse questo album è proprio un romanzo della scrittura”, il romanzo di chi scrive libri, di chi li legge, li sceglie, li pubblica. Il lettore, per sua fortuna, qui perciò non ha a che fare con teorie e apologie della letteratura e dello scriverla; incontra invece coloro che l’autore ha visto vivere di cultura letteraria e nella produzione editoriale.

 

Alla fine del suo libro Ferrero si chiede che cosa avrebbe potuto raccontare, avendo avuto la vita che ha avuto: “Non ho cacciato leoni come Hemingway, non ho fatto la guerra partigiana come Fenoglio, né il cercatore d’oro come Jack London, né il musicista rock, il medico dei poveri come Céline. Purtroppo non ho potuto fare nemmeno il marinaio come Conrad, né ho cacciato balene come Melville (...) Al massimo, prima di entrare in editoria ho lavorato in una compagnia d’assicurazioni, ramo sinistri. Come Kafka modestamente (però non ho avuto alcun conflitto con mio padre)”. I leoni e le balene di Ferrero, i suoi avventurosi incontri, sono stati quelli di uno come lui: editore che scrive, scrittore che edita altri scrittori. 

 

Ho cominciato a leggere il libro di Ferrero partendo dall’indice, dalle sue irresistibili promesse: una cinquantina di nomi, da Italo Calvino a Umberto Eco, da Primo Levi a Cesare Garboli, divisi per categorie di per sé, a loro volta, attraenti e invitanti. Per esempio: “I prediletti”, “I capotribù”, “Gli zii sapienti”, “Le signore di ferro”, “Maghi e funamboli” e per concludere i “Mattatori”. Già questi raggruppamenti qualificativi annunciano quanto fantasiosa e divertita sia stata per l’autore l’elaborazione dei ritratti.

 

Delle valutazioni e speciali affezioni di Ferrero condivido solo i due terzi. Ma questo non importa: se a volte sono di parere contrario, altre volte ho capito meglio e spesso ho saputo cose che non potevo sapere. Le mie esperienze nell’editoria sono state minime rispetto a quelle di Ferrero. La mia attività è stata quella di recensore e di polemista, cosa che non rende molto adatti al lavoro editoriale. Gli editori vogliono vedere nascere e crescere gli autori di libri, spesso li allevano; i critici preferiscono guardare le cose più da lontano e arrivare a cose fatte, quando le potenzialità di un autore sono diventate realtà.

 

Del resto, Ferrero parla di autori come persone e personaggi, non dei loro libri. Fra tutte le sezioni, quella che contiene più ritratti è dedicata ai leader editoriali o “capotribù”, da Giulio Einaudi (“editoria come conoscenza degli uomini”) a Luciano Foà (“il signore degli Adelphi”), a Vanni Scheiwiller (“folletto sapiente”). In apertura e in assoluto rilievo, solo due: i prediletti Calvino e Primo Levi. Il primo aveva l’etica del lavoro e “di fatica è morto” subito dopo i sessant’anni. Di Primo Levi si dice che “è difficile raccontare la virtù, la grandezza umana e letteraria quando diventano una cosa sola (…) Gli scrittori sono spesso degli esseri insicuri, nevrotici, egocentrici e autoreferenziali, vanitosi, esibizionisti (…) Primo Levi era l’esatto contrario: riservato, paziente (…) Mai uno scatto, una parola fuori posto, un malumore, un’ombra di nervosismo”. 
L’Album di famiglia di Ferrero non è neppure un libro da consigliare: come ho detto, si consiglia da sé. Basta leggere una sola pagina e dare un’occhiata all’indice per decidere subito di portarselo a casa.

Di più su questi argomenti: