(Foto di Ansa) 

La rivincita degli scrittori rifiutati dagli editori e che si esaltano su Facebook

Matteo Marchesini

Da Antonio “Yanez” Iannizzotto ad Adriano Barra: le pagine di Meta rivelano alcune personalità che pur andando controcorrente potrebbero essere molto efficaci per il mondo editoriale. Che però, insipido, le rifiuta

C’è ormai qualcosa di commovente in Facebook. In un universo virtuale che è la versione aggiornata di “Bouvard e Pécuchet”, e dove tutto diventa un involontario pastiche, le persone prendono ancora la parola per “tenere un discorso”, o per dialogare a lungo come epistolografi di un secolo fa. Qui sta il pathos, o se si vuole il lato patetico e letterario del “social dei vecchi”. Ma questo sterminato diario in pubblico, in cui basta un clic per passare da un’atroce tragedia privata a un déshabillé con citazione di Roth, è letterario anche nel senso che ha permesso a molti iscritti di sviluppare un’opera a puntate, la quale probabilmente non sarebbe mai nata altrove. Le pagine di Zuckerberg rivelano soprattutto quei tipi di scrittori oggi rifiutati da un’insipida editoria a compartimenti stagni: gli epigrammisti, i diaristi, gli autori di scampoli autobiografico-satirici alla Arbasino (i cui libri e i cui fax ai giornali erano un Facebook ante litteram). Faccio due esempi. Antonio “Yanez” Iannizzotto, come un Serra che non schifa i social, pubblica su Fb un suo quotidiano “Cuore”: ma un “Cuore” di quella destra sovranista e anti bergoglista, anti ucraina e anti virologi, che è sempre piuttosto truce e che lui rende chissà come spiritosa. “Non è tanto per i russi”, scriveva in un post di qualche tempo fa, “è perché per la prima volta possiamo invocare la pace, l’Onu, il Papa, il nonno partigiano” e mettere “quei meravigliosi occhialetti tondi arancioni”.

Certo Putin esagera: “Chiama nazisti tutti i suoi avversari: è una specie di Pd con un arsenale nucleare”. Com’è ovvio, tra le satire di Yanez abbondano le distopie sui tecnocrati: “Italia, 2026. Mentre l’Alto Cancelliere Draghi procede alla formazione del suo quarto esecutivo, sostenuto da una maggioranza del 97 per cento nel Parlamento nominato da lui stesso, i leader della protesta in piazza lanciano nuove assurde farneticazioni: ‘Boh, io secondo me ci vorrebbe che i poteri erano più separati’, ha dichiarato Bepi Tognolon, capo dei camionisti di Treviso. ‘E’ un’idea rudimentale ma pericolosa’, ha chiosato Paolo Mieli dalle colonne del Corriere del Dragone”. Ma i pezzi migliori di Iannizzotto sono dei racconti, in cui traccia caricature esilaranti di ambienti anche assai diversi tra loro: quello della musica pop, ad esempio, o quello dei film italiani che durano la metà dei film americani per i lunghi ringraziamenti in coda (da “Gay Pride Damasco” a “Ente per la Cooperazione Italia-Puglia”), o ancora, prevedibilmente, quello radicale della Bonino, che “essendo ormai tutti nati, proponiamo seriamente” al Quirinale. In uno di questi racconti Yanez immagina come sarebbe “SuicidiAmo”, un ipotetico centralino per il suicidio assistito in Italia, dove si prega in eterno l’utente di attendere per non perdere la precedenza, infliggendogli intanto un sottofondo di “Ludovico Einaudi su campane tibetane”.

L’altro scrittore che ho scoperto su Facebook si presenta con lo pseudonimo di Adriano Barra. E’ nato negli anni 40, e ai post in presa diretta alterna la trascrizione di un diario pluridecennale. Barra è un moralista alla Piergiorgio Bellocchio, ma con in più una sprezzatura da social. Se Bellocchio nei suoi diari incollava pubblicità o ritagli di giornale con intenti krausian-flaubertiani, qualcosa di simile fa Barra con i suoi copia-e-incolla. Spesso isola l’umorismo involontario della stampa (“16 gennaio 1993: ‘Generale, Totò è con noi’, titolo di Repubblica sull’arresto di Riina”); oppure fotografa dettagli di programmi tv (le mani di una presentatrice, il profilo roseo di un opinionista fisso) che riportati dal cellulare a Fb esibiscono tutta la loro tautologica oscenità. Ma il vero tema di Barra è lo smarrimento, malinconico e grottesco, dell’ultima generazione che ha creduto alla centralità della letteratura proprio mentre veniva sostituita da televisione e giornalismo: “Quando ero ragazzino nel mio orizzonte scolastico c’era soprattutto l’italiano, la letteratura italiana, cioè la letteratura, per farla breve. Era tutto piuttosto semplice e per me andava benissimo. La letteratura era il fatto che alla mamma piaceva Edgar Lee Masters e alla nonna invece le favole di La Fontaine.

Io le amavo tutte e due, ma ero anche assolutamente incerto su quale scegliere fra i miei due amori. Erano comunque dilemmi dolcissimi, piccoli affanni senza importanza. Poi, all’improvviso, è cambiato tutto. Oppure si è visto che era già cambiato tutto da parecchio tempo. E’ finita la scuola, è finita la letteratura, è finita la, mia, beata innocenza. Poi è passato tanto tempo. Io ero, nel frattempo, diventato vecchio. Allora mi sono voltato indietro, un momento prima di morire, a cercare di capire che cos’era quello che non c’era più. Lo so che è tardi”. A questo punto dovrei concludere con un appello da talent scout agli editori? O non piuttosto ribadire che forse queste scritture sono così efficaci proprio perché restano fuori dal raggio di chi produce romanzi e saggi in serie? Facebook può essere supremamente fatuo, ma forse mai quanto la seriosità con cui i nostri dirigenti editoriali, e le loro scuderie di autori, annunciano ogni giorno l’Opera dell’Anno. Caso curioso: di solito quest’opera è firmata da uno scrittore che appena interviene sull’impietoso social dei vecchi rivela anche ai più ingenui di non essere tale. 

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