La vetrina di Vender, a Parma, in una foto di Luigi Ghirri

Giù il cappello. A Parma chiude la storica Vender

Corrado Beldì

“Salviamo le botteghe artigiane”, dicono. Ma a Parma si prepara l’addio a una vetrina storica. Bertolucci aveva portato nel cinema il suo fascino

Il sostegno dell’assessore alla Cultura non mancherà di certo, questo non è mai stato un tema commerciale e lui lo sa, ama le belle cose e la storia della città, si chiama Michele Guerra e con un nome così il coraggio non gli può mancare. Di certo la notizia gli ha tolto il sonno, chissà quante volte da piccolo, lo zaino in spalla o più recentemente sulla via del comune, in pieno centro a Parma è passato di fronte alla cappelleria Vender e si è incantato davanti ai cappelli a tesa larga o stretta, a bombetta o a cilindro, in feltro o paglia intrecciata e si è chiesto quali meraviglie si celassero in cima agli armadi in mogano, nelle cappelliere Battersby e Panizza, forse ha pensato ad Attilio Bertolucci e al figlio Bernardo che proprio qui acquistò il gran marrone per il set di “Ultimo Tango a Parigi”, ne avrebbe voluto uno identico ma poi, per un motivo o per l’altro, ha sempre rimandato.

 

A Parma chiude la storica cappelleria Vender

 

Le cose migliori si perdono per un soffio, per questo non riesco a darmi pace da quando si è sparsa la voce che presto la Vender chiuderà, per alcuni è una notizia come un’altra ma per molti è una specie di tragedia. Il cappello fa parte della nostra vita e della nostra cultura, ci vorrebbe una sollevazione popolare e di chiunque abbia a cuore un secolo di storia e di immagini in bianco e nero, un intervento delle istituzioni per dar sollievo a quelle povere teste che resterebbero senza riparo, per difendere la salute e l’eleganza dei parmigiani e convincerli che forse è il caso di investire di più nelle nostre botteghe. Da Vender si passa inevitabilmente a ogni cambio di stagione ed è sempre come perdersi in un mare di bellezza, come il giorno in cui Luigi Ghirri, gran fotografo padano, decise di ritrarre la piazza della Steccata, la più amata dai parmigiani, attraverso le sue vetrine, forse a guardare quei cappelli gli era presa una vertigine e quello scatto era stato solo un modo per prender fiato. Era venuto a Parma per raccontare i luoghi del lavoro, sapeva che nulla può descrivere meglio la vita di una città che a quei tempi era un modello di sviluppo sociale, sua figlia Adele mi ha detto che prese un cappello che portava nelle occasioni importanti, il pranzo con gli amici in trattoria, i pomeriggi di lavoro in giardino.

 

Quando la Vender fu immortalata dal fotografo Luigi Ghirri

 

Come non capirlo, la distinzione di un uomo si vede dal cappello e di una città dalle sue cappellerie. “Dovremo salvare le nostre botteghe”, si è detto tante volte agli incontri per Parma Capitale della Cultura, un’impresa forse impossibile anche se di vecchie cappellerie ne sono rimaste soltanto due. Una è di fronte al Teatro Regio, dove il signor Cavalieri accoglie tutti con la cortesia d’altri tempi e mille storie da regalare, come quando i melomani stavano in coda tutta notte davanti al botteghino, non c’era la biglietteria online e lui teneva aperto fin tardi e offriva a tutti dei gran bicchieri di vin brûlé o quando Elio Petri e Giancarlo Giannini arrivarono insieme a Parma e vennero a cercare due cappelli da abbinare ai cappotti pied-de-poule, c’è una foto che li ritrae davanti al negozio ed è quasi un manuale di eleganza. Di sicuro avevano fatto la scelta giusta e poi i cappelli non sono mai troppi e impilati prendono poco spazio, basta evitare di schiacciarli, come capita al crudele Willard C. Gainsborough, dove C. sta per killer, in quella scena di “The Ladies Man”. Si era vestito di tutto punto per passare a prendere la sua bionda ma Jerry Lewis si era seduto sul suo Stetson e nel rimediare aveva peggiorato la situazione, è una delle sue scene più irresistibili, tenta in ogni modo di ricomporre il cappello, lo stende lo da ogni lato ma l’effetto è un disastro, si stacca pure il raso interno e un filo di cotone che a forza di tirare insegue il povero Willard fin sulla strada.

Il vecchio Maurizio Vender lo avrebbe sistemato in un baleno, per mezzo secolo è stato in bottega a vendere e sistemare cappelli, due giri e un soffio di vapore ed eccoli di nuovo in forma e pronti a proteggere il padrone. Non esiste un migliore amico dell’uomo, il cappello non abbaia, non mangia e mette ogni grammo del suo tessuto per proteggerci dal gelo. Senza cappello siamo come abbandonati, ci accarezza i pensieri come già faceva con quelli dei nostri padri e poi che altro potremmo toglierci per salutare una donna? “Da tempo non si presentava qualcuno con cappello e tulipani”, la mia amica l’altro giorno era così felice, forse perché ignora le mie fatiche, come entrare al ristorante e non sapere dove appendere il cappello, a pranzo dalle Sorelle Picchi è un piccolo dramma, niente appendiabiti e alle pareti nemmeno un chiodo. Costretto a pranzare col cappello non puoi far altro che pensare al tragico destino degli arredi déco della Vender e ai magnifici profili in ferro battuto coi marchi Barbisio e Borsalino, speri in un prodigio ma sai già che quell’angolo di Parma non sarà mai più come prima. Anche lo sguardo in pietra del Parmigianino al centro della piazza appare sconsolato, non può pensare a che sarà del centro storico senza queste vecchie vetrine che sembrano fatte per spiare la cappelleria da fuori, il registratore di cassa e le ghirlande di rami di ciliegio, melograni e piume di fagiano, gli specchi antichi e i vetri fumé e i manichini che sembrano vivissimi. Ti fissano negli occhi e chiedono di far qualcosa, non vogliono finire in un camino come il tenace soldatino di stagno e la sua povera ballerina. Chiede aiuto anche l’ultima boccetta del Bell’Antonio, “la sublime fragranza di tabacco e caffè e indossata dai gentiluomini e dai viveurs riuniti nel foyer del teatro”, il profumo che ti trasforma all’istante in un Marcello Mastroianni e capisco l’amico che era ossessionato dalla sua favolosa essenza pur non avendola mai provata e in effetti non importa, anche Francis Bacon, il più violento pittore del Novecento, non ebbe mai il coraggio di salire le scale di Palazzo Doria Pamphilj ma sognò e dipinse quel Velasquez per tutta la vita.

 

La Vender e il legame con i film di Bertolucci 

 

Per entrare da Vender non serve una grande audacia, c’è una porta leggera che certo non teme intrusioni, Lella emerge da una pila di cappelli e mostra qualche nuovo arrivo. “Direi che porta un 57”, l’occhio non tradisce, al solito cerco un trilby, magari in tinta unita, inizio a guardarmi intorno ma dopo appena un minuto siamo già alla ferale notizia, “ho deciso di mollare, verrà qui un gelataio”, lo dice mentre ho in mano un deerstalker alla Sherlock Holmes e per questo vien da chiederle per forza, “chi sarebbe l’assassino?”. E’ Ciacco, lo conosco, di certo i migliori gelati di Parma, fa gusti tradizionali, pistacchio, stracciatella, nocciola ma anche naturali, grano del miracolo, erba medica, corteccia di abete, almeno si è scampato il franchising, per un attimo mi sento sollevato ma poi guardo le vetrine traboccanti di baschi, coppole e berretti e come un incubo mi appare un espositore pieno di torte gelato e capisco chi vorrebbe scrivere a Ciacco per chiedergli di ripensarci, prenda Vender ma continui almeno a vendere anche i cappelli, chissà d’estate quanti vorrebbero un panama col sorbetto o d’inverno un colbacco con l’affogato. Se la nostra Maria Luigia fosse ancora tra noi, di certo si inventerebbe qualcosa, un qualche editto per salvare le antiche botteghe, ne resistono non più di dieci, la pasticceria Torino, il coltellinaio Righi, Violetta di Parma Borsari, la macelleria equina in borgo Maestri, la libreria Fiaccadori e Stampe Oliva in strada al Duomo e il Rangon in borgo delle Colonne, la mescita più antica di Parma, i vecchi ciclisti ormai son tutti chiusi e pure gli antichi barbieri da quando anche il Salone di toeletta in borgo San Domenico ha appeso le forbici al chiodo.

Più che il sindaco qui ci vorrebbe Gesù Cristo” o almeno un piano radicale, si dovrebbe partire da una nuova toponomastica, non serve una piazza per amare Garibaldi, si ripristinino i nomi delle vie che un tempo indicavano le professioni e le attività del centro, borgo Salame, strada del Teatro, borgo Zucca, borgo Spezieria e si tornino a raccontare le leggende, come quella del borgo della Rosa, omaggio alla traboccante bellezza di una ostessa che portava quel nome. Sartorie, ceramisti, falegnami e spezierie han bisogno del nostro aiuto. “Lo sanno tutti che è un tema culturale”, Lella ascolta e non dice una parola, poi allunga un cappello con fascia blu. “Questo le sta bene”. Sono così indeciso, vorrei qualcosa di speciale, darei un occhio per avere un vecchio Vender, di quelli che facevano proprio qui, al primo piano imbastivano le lane e tagliavano il feltro, ci si arriva attraverso una scala a chiocciola, un salone dove non entra mai nessuno, le luci filtrano appena e i suoni della piazza arrivano ovattati, la città è distante, sembra di stare nel paese dei balocchi, ci sono cappelli ovunque e sarebbe da provarli tutti ma poi vien fuori una bombetta Lock & Co. direttamente da St. James’s Street, ovviamente è color fumo di Londra come quella che indossa Alberto Sordi nella sequenza iniziale del film, sulle note di Piero Piccioni.

La bombetta e il ricordo di quella musica mi danno un attimo di felicità, mi butto in strada e per giunta con una gran voglia di gelato, sono davanti a Ciacco ma col cavolo che ci entro, piuttosto prendo un cornetto al primo bar o vado ad accendere un cero alla Madonna della Steccata, la più bella chiesa di Parma, di fianco della cappelleria. L’interno è uno splendore, nel pomeriggio non c’è nessuno, l’ora ideale per fermarsi a osservare i dettagli del cenotafio del Neipperg e il suo capello scolpito in marmo bianco, con quei nastri e pennacchi è così soffice che pare appena uscito dalla Vender. Starei a guardarlo per ore ma al solito mi lascio sedurre dalle vergini savie e stolte dipinte dal Parmigianino nel sottarco orientale, portano in capo vasi ricolmi di gigli per ricordare alle fanciulle la differenza tra il bene e il male. Chissà se Bernardo Bertolucci si era ispirato a loro quando decise di spillare un fiore sul gran marrone appena prima di metterlo in testa a Maria Schneider. Forse solo il cinema può salvare la Vender. Esiste un’arte migliore per raccontare la storia del cappello? Penso al fedora che Indiana Jones si aggiusta prima di afferrare l’idolo d’oro, al big floppy che indossa Holly Golightly per andare a Sing Sing da Sally Tomato, alla bombetta di Alex in “Arancia Meccanica”, agli outback e ai sombreri della “Trilogia del Dollaro” e ovviamente al top hat di Fred Astaire e ai cappelli di Charlot e Fitzcarraldo, di Tadzio e Stavisky, di Butch Cassidy e Sundance Kid e a quei tiri perfetti di James Bond, mai una volta che mancasse l’appendiabiti e a migliaia di sequenze che hanno fatto la storia e che senza un cappello non avrebbero alcun senso e chissà quante altre ancora potrebbero venire in mente a Michele Guerra, lui di cinema ne sa, potremmo montarle tutte insieme e chissà che film sbalorditivo verrebbe fuori, si potrebbe usare per rilanciare le cappellerie di Parma e non solo.

 

Esiste arte migliore del cinema per raccontare la storia del cappello?

 

Andrebbe proiettato ogni notte, dal tramonto all’alba per un anno intero in Piazza della Steccata, verrebbero a guardarlo da tutta Italia e non solo, qualcuno direbbe che è ispirato al film di Christian Marclay con gli orologi, alla Biennale quel montaggio era piaciuto a tutti ma cosa importa, qui non si vuole certo vincere il Leone d’Oro, si vuole solo salvare la Vender da una fine orrenda e poi già Marclay aveva copiato il video di un bibliotecario di Jacksonville, che di certo si era ispirato a qualcun altro. Mi sembra un’idea fantastica, l’assessore sarà entusiasta e di certo troveremo i fondi, migliaia di scene di cappelli, uno spettacolo da restare a bocca aperta, si scatenerà una nuova moda e tutti vorranno un cappello nuovo e daranno assalto alla cappelleria e si formeranno lunghe code per prenotare i modelli in arrivo e per rispondere alle richieste sarà riavviata la produzione al primo piano e serviranno maestranze qualificate e nuove assunzioni e alla fine sarà la Vender a comprarsi Ciacco e a proporre nuovi gusti da abbinare ai cappelli prodotti in città e Parma Capitale avrà una cosa in più anziché una cosa in meno e sarà un grande risultato perché chi salva una cappelleria salva il mondo e mille teste bagnate e raffreddori e visite in farmacia, così ancora per molti anni potremo perderci nella sua bellezza, come capitò quel giorno a Luigi Ghirri, per continuare a guardare la nostra città, come nelle lenti di una macchina fotografica, attraverso l’incanto di una vetrina.

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