Incontro all’Arena di Milano tra l’Ambrosiana e il Paris Université, ottobre 1928 - foto wikipedia

Alle origini

I "Pionieri" del rugby in Italia, in un libro di Elvis Lucchese

Marco Pastonesi

"Pionieri" è uscito nel 2007 e raccoglie esibizioni, citazioni e propagande per raccontare l'origine dello sport in Italia, tra il 1910 e il 1945: il padre della palla ovale azzurra è Pietro Mariani, un ingegnere milanese vissuto in Francia

Si chiamava Pietro Mariani, il padre della palla ovale azzurra. Era un ingegnere milanese. Aveva vissuto a lungo in Francia, nel 1909 era rientrato in Italia per il servizio militare e aveva portato con sé le “innumerevoli” partite giocate nella Lorena. La sua storia si era incrociata con quella di Emmanuel Gibert, che aveva fatto il percorso inverso: nato a Milano e cresciuto in Francia, giocatore “internazionale”. Dal loro incontro brillò una scintilla: “Ed eccomi – le parole di Mariani per “Lo Sport Fascista” – errando di campo in campo, dalla Cagnola al Sempione, dall’Acquabella alla Bovisa”, con il Milan Cricket and Football Club (il Milan del calcio) e l’Unione sportiva milanese (società di ginnastica, poi polisportiva, infine fusa con l’Inter), addirittura nelle scuole (nel cortile del Castello Sforzesco tra gli studenti degli istituti tecnici Cattaneo e Bonaventura Cavalieri).
 

Elvis Lucchese, nel 2007 con Andrea Passerini autore di “La finta di Ivan” (Francescato), ha scritto “Pionieri” (Piazza, 200 pagine, 22 euro), le origini del rugby in Italia, 1910-1945, anche un po’ prima, non per allacciare eredità con il calcio fiorentino, ma per ricordare esibizioni (una partita di football disputata a Bologna nel 1891 fra due squadre di ginnasti), citazioni (in “Salute e forza. I giuochi ginnastici nelle scuole” di Daniele Marchetti, del 1892), propagande (nel 1905 o 1906 tra gli atleti della Lazio e della Virtus, nata dalla secessione proprio dalla Lazio).
 

Nella sua opera di archeologia sportiva, Lucchese scopre diamanti: Torino, 1910, i parigini dello Sporting Club Universitaire de France contro i ginevrini del Servette, “dopo il match vengono premiate le due squadre. Ai francesi è assegnata una targa d’oro offerta dal barone Leonino da Zara; al loro capitano Cadenat un portasigarette d’argento omaggio del commendatore Ravà Sforni. Ai perdenti e all’arbitro viene comunque donata una medaglia d’argento”. Scava fra antichi attriti: “Anche nel rugby si assiste al controverso rapporto fra ‘pubblico’ e ‘privato’” e “fra campionato e Littoriali”, da una parte società sostenute da mecenati, dall’altra organizzazioni giovanili agevolate dal regime. Ritrova le povere radici economiche (“la gran parte delle società italiane, anche fra le più prestigiose, rimane costantemente in lotta per la sopravvivenza a causa delle scarne risorse finanziarie”, negli anni Trenta), ma anche sani principi morali (“il primo storiografo del rugby italiano, Giuseppe Tognetti, che ama definirsi ‘prima di tutto pilone’”) e genuine manifestazioni sentimentali (“fortissimo è stato il collasso nervoso provocato da Baccarin e dai suoi atleti che abbiamo visti negli spogliatoi avviliti e piangenti come bambini”, anno 1938, tratto da un altro libro di storia ovale, “Li chiamarono Bersaglieri” di Alberto Guerrini). Rugby, sempre, sport di passione: “E la palla ovale – come scriveva il francese Charles Gondouin nel 1937 – guizza e salta, saetta a volo senza tregua e senza arresti”.

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