"Satana punisce Giobbe con piaghe infuocate", un quadro del 1826 di William Blake (Wikimedia commons) 

Un'antologia

La magnifica ossessione russa per i demoni misteriosi

Marco Archetti

Tutto è davvero cominciato con Lermontov. Un mondo misterioso e labirintico, tra creature da incubo sortilegi e possessioni

Lo dice chiaro e tondo Andrea Tarabbia: tutto è cominciato con Michail Jur’evicč Lermontov. Lo scrive nella bellissima e articolata prefazione all’antologia Racconti di demoni russi (il Saggiatore, 472 pp., 19 euro), da lui curata e ora croccante di stampa. Ma chi era Lermontov? Autore di una magniloquente e introspettiva opera poetica giovanile, orfano di madre allevato dalla nonna e poeta tredicenne in romantica posa byroniana, autore di un solo e bellissimo romanzo (“Un eroe del nostro tempo”) e di un grandioso poema intitolato “Il demone” che ossessionò il pittore Michail Vrubel’, Michail Lermontov è considerato, proprio per via di quei 1.132 versi satanici, uno dei fondatori della demonologia nelle lettere russe. Probabilmente fu l’ultimo cimento letterario cui si dedicò prima di trovar la morte in un duello contro un vecchio compagno di scuola invaghitosi della stessa donna che amava lui, cimento a cui si diede senza risparmio: poema riscritto otto volte, non offre clamorosi elementi di novità se ci dovessimo soffermare solo sui riferimenti e sul tema (quello della seduzione di una ragazza pura ad opera di un angelo caduto, un satanasso che, attraverso l’amore terreno, spera di riconquistare l’armonia perduta) ma di vertiginosa originalità è l’elemento che caratterizza le ambizioni e la natura del demone: l’ambiguità di creatura maligna che anela a un ritorno all’origine spirituale, e l’insoddisfazione che lo opprime nonostante il possesso della Conoscenza.

 

Posto come prologo-viatico al viaggio antologico che Tarabbia cura e ci regala, il capitolo del bacio lermontoviano tra il demone e la fanciulla ci inizia a un mondo misterioso e labirintico popolato di creature da incubo, di sortilegi e possessioni, di demoni del corpo e dello spirito, di buio e di luce, di accecanti aberrazioni della mente e di tetri ombracoli psichici. L’antologia è divisa in due. Nella prima parte incontriamo demoni che partecipano geneticamente e letterariamente del ricco catalogo folklorico e tradizionale russo (“sono infiniti, son deformi  / nel torbido giuoco lunare”) – e qui valga per tutti “Il concerto dei demoni”, bellissimo racconto “italiano” di Michail Zagoskin che sfodera tutto il repertorio di “galli con gambe di capra, tori con gambe di passero, caproni con braccia umane”. La seconda ci presenta demoni che sono, invece, un urlo interiore, una condizione generata da abominevoli febbri dell’io o da ineluttabili sdoppiamenti – e qui valga l’imprescindibile: il maestoso dialogo tra Ivan e il Diavolo ne I fratelli Karamazov, un diavolo “qui frisait la cinquantine”, vestito con una giacca “un po’ troppo portata”, biancheria “sporchetta” e sciarpa-cravatta logora (“nei sogni, e specialmente negl’incubi, provengano da un disturbo di stomaco o da qualch’altra cosa, accade che all’uomo appariscano tali visioni...”). 

 

Straziante il racconto intitolato “Il fiore rosso” scritto da Vsevolod Garšin, suicida a trentatré anni (si gettò dalla tromba delle scale e morì dopo cinque giorni di agonia il 24 marzo del 1888), che racconta l’ossessione di un pazzo per un papavero-emblema (peraltro, a proposito di Garšin, il Mirskij racconta: “Visse la vita sull’orlo del tracollo mentale. I suoi occhi pare che fossero indimenticabili...”. Suggestionati dai contenuti dell’antologia, è lecito immaginare di tutto). Indimenticabile anche la novella “Una Lady Macbeth nel distretto di Mcensk” di Nikolaj Leskov, bagno di sangue e delirio.
Livida cavalcata ed epilogo in musica: “L’histoire du soldat” di Igor’ Stravinskij, che compose la sua opera faustiana immaginandola itinerante.