Da Pastorale Americana (2016), diretto da Ewan McGregor e tratto dall'omonimo romanzo di Philip Roth

Siamo imbecilli

Addio poesia universale: da oggi anche i versi sono pol. corr.

Mariarosa Mancuso

Amanda Gorman una grande poetessa e Philip Roth solo un puttaniere? Che brutto mondo

Come facevano a non capire il valore nutritivo delle bistecche e delle torte alla crema?”. Gli scienziati nel 2173 restano stupefatti: potevano essere tanto idioti, gli umani di duecento anni prima? Accade nel “Dormiglione”, film fantascientifico di Woody Allen girato appunto nel 1973. Per questo Steve Johnson ha chiamato “Curva del Dormiglione” certi clamorosi esempi di sottovalutazione. Il saggio era intitolato “Tutto quel che fa male ti fa bene”, all’inizio degli anni Zero rivalutava le serie tv e i videogiochi. “Come hanno fatto a non capire l’incommensurabile bravura di Philip Roth rispetto a Amanda Gorman?”, diranno di noi i posteri (mentre noi già avvertiamo un bel po’ di imbarazzo, a mettere i due nomi nella stessa frase). Lo diranno leggendo il feroce attacco che un paio di biografie – una non bastava? certo che sì, ma demolire i monumenti è sempre redditizio – sferrano contro Philip Roth. Il “misogino arrabbiato”, lo scrittore fissato con il sesso, il marito che andava a puttane (cinesi), e che ingannò la consorte Claire Bloom dicendole “d’ora in poi castità, ho problemi cardiaci”; intanto – buttate via le medicine – si intratteneva con due amanti.

 

Meno male che il biografo Blake Bailey fu a suo tempo scelto e autorizzato proprio da Philip Roth. Fuori, nel meraviglioso mondo del #MeToo, la scrittrice femminista Meg Elison descrive lo scrittore al Sunday Times come “un maiale che si rotola nel suo sterco”. La solita orribile farsa, vederla capitare tante volte non la rende meno ridicola, sciocca e malevola. La signorina dello sterco non deve aver mai letto una pagina di Philip Roth, e se per caso l’ha letta dimostra di non avere idea di come sia fatta la letteratura. “Il lamento di Portnoy” o “Pastorale americana” o “Il teatro di Sabbath” sono come certi film clamorosamente belli: se non ti piacciono, è il cinema che non ti piace.

 

Mentre il Grande Romanziere Americano è sotto tiro, alla voce “poesia” viene coperta di lodi Amanda Gorman, baciata dalla fortuna per la sua composizione recitata alla cerimonia di insediamento del presidente Joe Biden. “The Hill We Climb” ha strappato applausi e lacrime, offrendo alle folle (presenti e virtuali) il brivido della giovane poetessa ispirata e impegnata. Vestita Prada, che non guasta mai: il cappottino giallo e il cerchietto rosso erano notevolissimi. Molto meno i versi che ora il mondo vorrebbe tradurre, epperò non si può. Per non farle torto, servirebbe un traduttore-clone: stesse esperienze, stessa età, stesso colore della pelle, stesso sesso.

 

Tutto preciso identico, alla faccia di chi afferma: la poesia è universale. Contrordine, da oggi è personale. Qualcuno si dia la pena di farlo sapere – non è mai troppo tardi – a Walt Whitman o a Emily Dickinson. Quali possano essere le difficoltà nel tradurre “The Hill We Climb” – inteso come titolo e come poema – è ancora da stabilire. Non andiamo molto oltre “the cat is on the table”, e altro lessico di base. L’unica difficoltà potrebbe essere l’assonanza fra “what just is isn’t always just-ice”, e un gioco di parole tra “to harm”, nel senso di far male, e “harmony” che sta per armonia. Pensavamo che Robin Williams in “L’attimo fuggente” fosse il peggio. Sbagliato, era il peggio fino ad allora. “Ma davvero pensavano che Amanda Gorman fosse una grande poetessa, e Philip Roth un puttaniere di cui cancellare la memoria?”. Questo si chiederanno i posteri, e faremo la figura degli imbecilli – non c’è altro termine. Gente sorda a ogni idea di letteratura e di divertimento. Smossa nel proprio torpore soltanto dal “quante volte figliolo?” di Philip Roth.

 

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