La grazia di avere una filantropa a responsabilità illimitata nella crisi di Torino
Catterina Seia, dai vertici di Unicredit alle cose buone ovunque
Si chiama Ospedale Sant’Anna. E per i torinesi è un luogo dove è Natale tutti i giorni dell’anno, a tutte le ore di tutti i giorni dell’anno. I miei figli sono nati lì – come i figli della famiglia reale, e come i figli della gente autentica. Almeno nella parte della clinica universitaria, che si chiama clinica ma è gratuita, ci sono installazioni di artisti, concerti nelle sale d’attesa e di degenza, e sopratutto una gioia cromatica raramente vista in luoghi simili: turchese vibrante, giallo canarino, rosso speranza: foto di Silvana Mangano, seminari, libri, biblioterapia. Mentre fino a qualche anno fa, come in tanti altri ospedali pubblici, certi dettagli lasciavano un po’ tristi – il decor dei corridoi, i colori, i dettagli. Tutto verde stinto e scrostato e marrone. Finché a cambiare il volto di una parte del Sant’Anna, piano dopo piano, un anno dopo l’altro, è giunta la Giulia di Barolo contemporanea, la vera signora della filantropia italiana – Catterina Seia, ex alto dirigente dell’Unicredit rivoluzionaria di Alessandro Profumo, appassionata d’arte, nel board di diverse fondazioni e tessitrice instancabile di trame che portano i fili d’oro del privilegio a rendere più belle le mani degli ultimi – perché non c’è alcuna ragione o valore che possa davvero giustificare lo scandalo del fatto che cose come il desiderio di bellezza, la soddisfazione estetica, il senso di salvezza fornito dall’Arte alla Vita, debbano essere solo appannaggio di chi sta bene, benissimo. Catterina Seia non ama molto quel lato del mondo che pure abita e frequenta, la scintillante superficialità dei beautiful people che nasconde spesso una tragica connivenza con chi rende tecnicamente invivibili le vite di chi sta sotto. La si potrebbe definire una filantropa per davvero, ma conoscendo un certo numero di filantropi – che non amano nulla dell’umano e che voltano la faccia appena gli altri minacciano di prendersi ciò che per una pura lotteria gli e stato negato – credo che sarebbe ingeneroso e ingrato.
Mentre la presenza di Catterina Seia a Torino e altrove, nelle innumerevoli iniziative che ha curato e lanciato, è stata “la fortuna di chi vive adesso” per molte persone: mamme lavoratrici, magari single, oppure nuovi cittadini senza documenti, immigrati, o persone con i documenti a posto ma senza possibilità di mantenere la famiglia. Per tanti cui la fortuna ha girato male, il suo lavoro sottile, quieto, imperterrito, con quella erre tutt’altro che moscia, e quei modi così poco sabaudi di sporcarsi le mani con una carezza, mentre ti parla, è stato sinonimo di un nuovo inizio. Un’opportunità basata sullo sforzo reciproco, l’opposto della carità: c’è un’anima materna e sociale, dietro progetti come la Housing Giulia, una struttura ricettiva e comunitaria che ospita e dà lavoro e forma decine di individui e famiglie in difficoltà, ma senza rinunciare a tutto quello che rende splendido stare al mondo: il dettaglio frivolo, il surplus mentale dell’intelligenza al lavoro.
Torino è una città in crisi spirituale strutturale, contesa com’è tra un mondo fatto di magnifici inizi e il mondo reale, pragmatico e brutale, che adora sopratutto la sostanzialità delle cose che si ripetono e stanno nel mezzo, nella ciccia, nella trama fisica della realtà. In questa città mancano signori capaci di responsabilità illimitata, manca un progetto di prospettiva, mancano tante cose: ma finché ci saranno persone come Catterina Seia, erede dei santi laici e cristiani, sociali e culturali, ci sarà qualcosa che assomiglia a un’anima.
Scrittori del novecento