Arte come “value”
Invece del solito presente sicuro, Giulia Tosetti si è messa a pensare e produrre “economia dell’immagine”
Giulia Tosetti, trent’anni, è una delle speranze della comunità artistica allargata del nostro paese (la comunità artistica, priva di un vero e proprio pubblico, comprende artisti, curatori, galleristi, collezionisti, esponenti di istituzioni private e pubbliche, oltre che, sempre meno, penne critiche e osservatori disincantati ma appassionati di ogni nuovo linguaggio contemporaneo). Il suo contributo è principalmente da riferirsi a un piccolo progetto sotterraneo di grande qualità chiamato col suo cognome e con il nome della società fondata da suo padre qualche decennio fa: Tosetti Value per l’Arte, che offre assistenza per creare e valorizzare il patrimonio di collezioni proprie collezioni. In poche stagioni ha inanellato quindici mostre che indagano i confini indistinguibili del medium fotografico, e ha portato negli austeri spazi della gestione d’alta finanza opere difficili e bellissime di artisti importanti o che sono diventati importanti nel frattempo, come Liu Bolin (prima di Moncler), classici come Olivo Barbieri o Francesco Jodice e tanti altri.
Ogni mostra viene accompagnata da un serio lavoro di ricerca e di connessione che indaga il concetto di “valore” e “economia dell’immagine”, con taglio che non sarebbe dispiaciuto a Gregory Bateson e agli intellettuali del Gruppo di Palo Alto, un manipolo di scienziati e ricercatori provenienti da ogni disciplina che ben prima di internet aveva condotto alla Sylicon Valley la coniugazione al futuro del verbo “pensare la realtà” in ottica sistemica. Paul Waklawitz, per esempio, psicoanalista del gruppo, aveva individuato nelle avventure del Barone di Munchausen – che proprio prima di scivolare nelle sabbie mobili con il suo cavallo si tira fuori dal guaio sollevando se stesso e l’animale tirandosi su dal codino – il paradigma del cambiamento, come cambiare il mondo tirandosi fuori dalla palude in cui si sta sprofondando per via di un salto, di un mutamento nella costruzione della trama del reale – o del proprio punto di osservazione e interazione con ciò che chiamiamo “reale”. E qui calza alla perfezione l’esempio di Giulia Tosetti, che avrebbe potuto gestire un’esistenza ben comodo e invece si è tirata fuori, pur restandone onestamente dentro.
Cosa fareste se invece del solito presente, del solito passato, del solito spazio, del solito armamentario di possibilità, ci fosse in serbo per voi un ufficio già avviato da un papà con gli occhi lunghi e previdenti, un’agenzia che anziché fare da family office fa da family office per giudicare il lavoro degli altri family office, o per meglio dire di banche e fondi e gestori di “wealth” accumulate in generazioni? Cosa fareste se tutto questo si svolgesse ora e qui, in Italia, nel XXI secolo, con varie sedi ma più precisamente a Torino, e non in un posto qualsiasi ma nel mitologico centro direzionale della Fiat anni Settanta, settimo piano di Corso Marconi, con boiserie ammiccanti e una vista imperiosa sulle Alpi? Non vi spremete bucce e meningi – ve lo dico io.
Fareste business as usual, anzi essendo al confine con la Francia “travail comme il fait”, come tutti i figli di un certo mondo che si rassicurano essendo rassicuranti, cambiando poco poco ciò che facevano i genitori e i genitori dei genitori, solo più velocemente, più digitalmente, più fluidamente. Ci sono tanti modi di gestire il privilegio: c’è chi eredita fortune farmaceutiche e s’inventa esplosivi ristoranti e ostelli ma in fondo non cambia nulla del modello precostituito; c’è chi eredita fortune petrolifere e manda tutto a scatafascio fondando improbabili marchi strani; c’è chi invece nasce in questo cosmo ma con qualità e modestia cerca la propria strada con fatica, poi la tenta di nuovo, poi impara e corregge e impara ad imparare, e infine mette a punto più degli altri: per qualità, determinazione, innovazione, cambio lento ma costante di senso e direzione. E finisce per costruire una docile rivoluzione. E forse, in controluce, a fondare una possibile micro-istituzione. Ecco ciò che ha fatto Giulia Tosetti, invece di restare dove doveva.
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