Donna Marella Agnelli con Mario D'Urso in una foto del 2004 (Foto Imagoeconomica)

Com'è dura trovare esempi di stile femminile ora che Donna Marella non c'è più

Camillo Langone

Né Emma Marrone né Chiara Ferragni. Le differenze (oltre al sangue blu) tra la moglie di Gianni Agnelli e le "dive" di oggi

La morte di Donna Marella c’entra e non c’entra. Non c’entra per due motivi: 1) già da prima, già da tempo, rimuginavo su esempi di stile femminile da indicare alle amiche lettrici; 2) un modello dev’essere alto ma non troppo alto, altrimenti è del tutto inimitabile e non funziona: ispirarsi a una principessa con quel collo e quel denaro è poco meno velleitario dell’ispirarsi alla Regina Elisabetta o alla Gioconda. Ma un poco c’entra, chiaro. Nei vivi la morte mostra il vuoto e mette urgenza, impone una reazione di vitalità. E io sono partito alla febbrile ricerca non di una Donna Marella ma di una Inès de la Fressange italiana, o forse pure di una nuova Patty Pravo, o di una nostra Charlotte Gainsbourg, per non citare sempre aristocratiche. Ho cominciato dalla musica e ho sbagliato perché subito mi è venuta in mente Emma Marrone. Oggi è difficile non andare a sbattere nella cantante pugliese, e se non ci fosse questo palo ci sarebbe quello rappresentato da Alessandra Amoroso (per tacere della compaesana Dolcenera, o della limitrofa, compaesana mia, Arisa).

  

A proposito di Puglia, ho chiesto a una stilista meridionale a cui garantisco l’anonimato come mai si avvale sempre di modelle lettoni o lituane o ucraine. Non puoi prendere una pugliese? “Sono tutte culo e pelo”. No, dai, non è vero. “Sono così, credimi. E poi agli shooting si portano dietro il fidanzato pseudocalciatore”. Non poteva trovare argomento migliore per mettermi a tacere, il fidanzato calciatore o anche pseudo è una pietra tombale, dove entra il calcio esce lo stile. Anche dove arriva il rap e così ci siamo giocati Mariacarla Boscono che mi ha gettato nello sconforto mettendosi con Ghali, italo-tunisino capace di accusare noi italo-italiani di essere medievali, l’autore di “Pizza kebab”.

 

Una donna di stile può mangiare la pizza? Forse può perfino mangiare il kebab, dipende da come lo fa. Mangiare è il salto mortale dell’eleganza, la donna che non vuole scendere dal piedistallo del fascino è meglio che si dia al bere e penso alla Paloma Picasso fotografata da Helmut Newton e alle sublimi debosciate dipinte da Terry Rodgers. Magari Nina Zilli? Ha la faccia, ha l’altezza, non ha le canzoni ma il problema principale è un altro. Nelle interviste il corpo non si vede, si intravede la mente, e nelle interviste la cantante piacentina si svela talmente normale da pronunciare finanche la parola femminicidio. Cascando dunque in zona Marrone, e inzaccherandosi. Internet e social sono grandi nemici del carisma, quando una cantante fa troppe dichiarazioni è troppo poco il mistero, il necessario mistero, che rimane. La canzone dev’essere un’epifania, deve come apparire dal nulla e allora l’interprete acquisterà le sembianze di dea iperuranica (funzionarono così “Pensiero stupendo” e “Per Elisa”, capolavori del non detto, del non esplicitato, della non trasparenza).

 

In questi giorni sto ammirando Aldous Harding, cantautrice neozelandese dai video formidabili quanto il profilo (nel senso del naso, non di Instagram). Ma dove si nasconde in Italia una cantante che a tanto talento abbini tanta disinvoltura? “La nobiltà è caratterizzata dall’assoluta disinvoltura” scrive Paul Valéry, e le artiste italiane, forse le italiane, sono delle salame, delle stoccafisse, terrorizzate dal giudizio altrui e pertanto rigide. Eppure la sprezzatura è stata inventata proprio in Italia, da Baldassarre Castiglione nel Cinquecento. E proprio in Italia è stata rilanciata, nel Novecento, dall’Avvocato Agnelli la cui ricetta secondo Arbasino era la seguente: “Maneggiare gravemente i temi leggeri, e leggermente i più gravi. Evitare con chiara sprezzatura ogni pomposità o affettazione”.

 

Sono dunque tornato, senza volerlo, dalle parti di Donna Marella, dei cognomi altisonanti, del sangue blu. A un’amica, ahilei necessariamente benestante, consiglierei gli abiti leggiadri della principessa Luisa Beccaria, discendente del marchese che scrisse “Dei delitti e delle pene”. E i mobili in bronzo della contessa Osanna Visconti di Modrone. E i gioielli in bronzo e argento della di lei figlia Madina, sempre Visconti. E le papusse Vibi Venezia prodotte dalle stupende Viola e Vera Arrivabene che a dirla tutta si chiamano Arrivabene Valenti Gonzaga e sono figlie addirittura di Bianca di Savoia-Aosta, Sua Altissima Altezza, campionessa di regalità naturale a prescindere dai troni perduti. Adesso mi rendo conto di essermi spinto troppo in là, non posso pretendere che le amiche prendano a modello tutti questi centimetri e cognomi.

 

Non vorrei poi che, demoralizzate, cominciassero a seguire Chiara Ferragni, così standard e aproblematica. Csaba dalla Zorza? Ancora un po’ troppo alta società e un’insidiosa tendenza al perfettino. “Mantieni sempre almeno un particolare trasandato nel tuo look. Tagliati i capelli da sola. O chiedi a tua sorella di farlo”. Sono parole che estraggo dal libro che considero il vangelo dell’eleganza femminile, scritto qualche anno fa da quattro donne francesi e intitolato “Come essere una parigina”: “Le cadute di stile da evitare assolutamente: essere troppo curata, troppo truccata…”. Da patriota qual sono mi dispiace dirlo, ma quando cerco esempi di femminile distinzione li trovo quasi sempre fuori Italia.

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  • Camillo Langone
  • Vive tra Parma e Trani. Scrive sui giornali e pubblica libri: l'ultimo è "La ragazza immortale" (La nave di Teseo).