Per capire l'America di Trump c'è Hell or high water

Gianmaria Tammaro

Su Netflix un film applaudito a Cannes e pronto per gli Oscar. Racconta la storia di due fratelli, di un Texas ranger, e dell'americano medio bianco: povero, pieno di debiti e ostaggio delle banche

Mentre ci si sta ancora chiedendo come abbia fatto Donald Trump a vincere le elezioni, su Netflix arriva un film che, pur non volendo, ci dà una risposta. Si intitola “Hell or high water”; a Cannes è stato tra i più apprezzati, e la critica d’oltreoceano non ha esitato quest’estate a metterlo già in lista tra i papabili all’Oscar (possibile? Possibile).

 

 

Se The Donald ha vinto, è (anche) perché l’America non è più quella di una volta, patria della libertà e del coraggio, e (pure) perché gli americani non si sentono più i salvatori del mondo. In “Hell or high water”, ennesima prova di David Mackenzie, sceneggiatura di Taylor Sheridan (lo stesso che ha firmato Sicario), siamo in Texas, i due protagonisti sono due fratelli, interpretati da Chris Pine e Ben Foster. Il primo, sempre stato buono e ligio al dovere e alla legge, chiede al secondo di aiutarlo, perché la banca, ora che è morta loro madre, vuole portargli via la casa (e il ranch). Il secondo, ex-galeotto, amante del rischio e del pericolo, cowboy e pazzoide, accetta. Dall’altra parte della barricata, uno che la legge deve farla rispettare anche non condividendola, un Texas ranger interpretato da un bravissimo Jeff Bridges: grasso, lento, vecchio, prossimo alla pensione e con un certo fiuto per le indagini. È lui a capire che i due fratelli non sono due bandidos qualunque (e che non sono nemmeno messicani, tra l’altro); e che se colpiscono le banche, hanno un motivo, una ragione, e non solo sete di danaro. Tutto si risolve nel più tipico degli inseguimenti, guardie contro ladri; il finale, però, non è il finale che ci si aspetterebbe. La storia prende un risvolto agrodolce, i buoni che diventano cattivi e i cattivi che, forse, non sono mai stati veramente malvagi.

 

 

“Make America great again”, dice(va) lo slogan di The Donald. La realtà è molto più complicata di così. “Hell or high water” è una fotografia piuttosto attendibile dello stato del Texas e degli americani che ci abitano; una messa a fuoco che inquadra perfettamente la miseria e il più grande nemico, oggi, del maschio bianco della classe media americana. Che non è né il nero, né la donna, né qualunque altro appartenente ad una minoranza. Ma le banche: sempre loro, sempre impunite, sempre assetate di soldi (e proprietà).

 

Il personaggio di Chris Pine, più di ogni altro, è l’identikit del buon americano che alla fine cede al male (e alla demagogia e allo slogan facile) e cambia idea: radicalizzandosi, diventando un estremista, combattendo per la propria famiglia e per sé stesso, “fuck!” tutto il resto.

 

“Hell or high water” è la prova, ennesima e comprovata, che il cinema migliore è quello che si ricorda che c’è una realtà oltre il grande schermo, e che prova a raccontare agli spettatori non solo una storia, ma soprattutto loro stessi: chi sono, come sono diventati quelli che sono, e qual è stato il motivo del loro cambiamento. Macchine, sparatorie (fa ridere una scena, in particolare: quando i due fratelli vengono braccati dagli abitanti di una cittadina, tutti armati fino ai denti) e sano dramma (Jeff Bridges straordinario). “Hell or high water” è su Netflix da ieri, e la cosa, a suo modo, è piuttosto significativa: un film così – così grande, così bello, così vero – non aveva trovato nessuna distribuzione, qui in Italia. Un fatto che ce la dice lunga sullo stato del cinema nostrano.

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