Lasciami una Gitanes
Il ministro francese della Salute ha 57 anni, un bellissimo nome, Marisol. Di cognome si chiama Touraine, il padre Alain è un famoso sociologo del secolo scorso, oggi novantenne. De sinistra c’è nata, il padre pure ma un filo più moderato. Ha straordinari occhi azzurro-mare cangianti e un marito con cognome a particella: non si capisce perché abbia deciso di occuparsi di noi, viziosi. Un decreto legge attualmente all’esame del Consiglio di Stato prevede che dal prossimo anno vengano bandite dai pacchetti di sigarette tutte le marche il cui nome a suo dire evochi il tabacco: necessariamente i più famosi, quelli che hanno fatto la storia e la grandezza della sigaretta nell’immaginario del Novecento. La ministra sosterrà il provvedimento fino in fondo.
Dal 1 gennaio dunque i francesi potrebbero trovarsi davanti a pacchetti anonimi, senza più scritte né marchi come Gauloises, Gitanes, Lucky Strike, Marlboro. Il pacchetto sarà molliccio come una lumaca senza casa, bianco come una corsia di ospedale, distinguibile per l’appunto solo per le immagini dei vari organi devastati dal cancro. Gli industriali del tabacco sul piede di guerra stanno inondando di lettere lei e altri ministri, bussano ai piani superiori, a Matignon o all’Eliseo, ma in questo momento sia Manuel Valls sia François Hollande hanno altre grane.
Seita, Jti, Philip Morris e British American Tobacco minacciano di passare a vie legali per violazione del diritto di immagine e del riconoscimento della proprietà intellettuale, se dovessero vincere sarebbe un salasso per il Tesoro. Ma lei niente, sorride, dice che farebbe qualsiasi cosa pur di sottrarre anche una sola persona al destino cui lo porta inevitabilmente il vizio. E che c’è un altro paese, uno solo in verità, che ha adottato le sue stesse misure, sta all’altro capo del mondo, si chiama Australia: lì gli industriali del tabacco hanno fatto causa e l’hanno persa.
Colpirne cento per educarne uno, è follia salutista, proibire le scritte è il primo caso di iconoclastia nel cuore dell’occidente. Voler salvare un pezzo di polmone, uno straccio di coratella può anche stare bene ma non al prezzo di un’amputazione dell’anima. Prendiamo le Gitanes. Da tempo non è più questione di sigarette, di quelle miscele di tabacco uniche denominate caporal, fatte con metodi di stagionatura e un tipo di laminazione di carta diversi da tutte le altre. Non è nemmeno questione di dimensioni, sette centimetri, 695 millimetri per la precisione, che la fanno definire una corta e si è portati a credere che non faccia girare la testa e ci si sbaglia di grosso, la nera corta occorre saperla dominare, è come cavalcare il toro.
Quel paradiso, nato nel lontano 1910 in quattro differenti versioni tutte ovviamente senza filtro, arricchito dalla versione in carta gialla che ebbe grande successo nella campagne dove si fumava tabacco nelle foglie di mais, tutto questo mondo appena intaccato dagli arrivi delle sigarette con filtro nel secondo dopoguerra, è già scomparso da tempo: la produzione delle brune ha chiuso, quella delle bionde è stata trasferita in Polonia, e forse è proprio perché non ci sono più lavoratori francesi del settore da proteggere né sindacati da corteggiare che la signora ministra ha trovato tanto coraggio.
La criticità, come direbbero appunto in un ministero, è altrove. Non nel prodotto ma nel condizionamento, nella confezione. Possiamo ancora fumare ma senza far sapere agli altri di che si tratta, se di una Gitanes, una Gauloise, una Lucky Strike, una Marlboro, senza quindi trasmettere l’evocazione di un ricordo e perciò un invito al viaggio. Fumare alla cieca, anonimamente, senza ricordi dal mondo in cui Jean Gabin la fumava corta e grossa e Bogey lunga e stretta. In cui Serge Gainsbourg cantava Dieu est un fumeur de havane e teneva perennemente la Gitane incollata alle labbra.
O il mondo di Leo Ferré: “T’es une copine de patachon, t’es ma Gitane, t’es mon tison, t’es ma Gitane t’es mon patron e quand l’amour vient de se consumer comme un mégot dans le cendrier, je prends une Celtique dans mon paquet” e non sai mai se sta cantando la sigaretta o la donna, tutte le sue donne, tutte le donne: non sarebbe stata possibile tanta ambigua bellezza, senza sigarette.
C’è sempre una bruna in agguato, persino in un pezzo inedito di Boris Vian tratto dai suoi Scritti pornografici e pubblicati nel 2008 nel numero 2 di Satisfiction, “se ci si potesse procurare una donna così facilmente quanto un bicchiere di gin o un pacchetto di Gauloises”.
Non è possibile nemmeno più pensare a Sartre o a Lacan o a Claude Simon, “c’è una conchiglia, un pettine di mare, utilizzata come posacenere e accanto un pacchetto di Gauloises”.
Che resta della cinematografia francese, da Paul Meurisse a Belmondo, da Ventura a Delon, senza queste sigarette strane per uomini strani, in generale duri da cuocere.
Gitanes e Gauloises sono entrate anche nella cultura rock e millennial, la gitana chitarrista sulla copertina di Shades di J.J. Cale, Lupin III, il Porco Rosso di Miyazaki, Takumi Ichinose, bassista dei Trapnest negli anime di Nana. E un’esperta del ramo mi garantisce che di tabacco sia pure per opposizione si parla anche in Reclame dei Baustelle, “una cartina, una Gitane, la lingua sulla cenere l’amore mio s’arrotola e non finisce più il filtro glielo strappo via, la donna mia è come una Lucky Strike e non la spengo”.
C’è qualcosa di insensato nel voler ridurre a nota a piè di pagina ogni riferimento a sigarette che hanno fatto la storia del cinema, della letteratura, della musica.
E di perverso nel volerci imporre immagini sgradite e sgradevoli di laringi, bronchi, polmoni, frattaglie trapanati dal cancro. Rieducarci in questo modo è come voler dissuadere un terrorista suicida con la minaccia della pena di morte. Al più ci si costruiscono attorno barzellette: il fumatore vede sul suo pacchetto la scritta “il fumo rende impotenti” con tanto di immagine di uomo accartocciato sulla propria inutile virilità e si precipita dal tabaccaio, mi dia il pacchetto sul cancro.
Abbiamo vissuto un lugubre romanzo di formazione al cedimento culturale a piccoli passi, a obbedire alla supposta supremazia antropologica dell’uomo che si dice per bene perché agisce in nome di un interesse collettivo e superiore. Dovevamo ribellarci e dire no, le nostre sigarette e tutti i nostri vizi sono affari nostri, potete proibirci di fumare nei locali pubblici, al chiuso, chiederci di esser rispettosi nei confronti di chi ci sta vicino, di attrezzarci in fumoir, grazie per tutto questo ma in fin dei conti sono affari nostri come e in che modo scegliamo di morire. E poi non si può essere salvati dagli stessi che sono a favore dell’eutanasia.
Non fate discorsi da contabili, avremmo dovuto dire, non mettete in avanti il sistema sanitario nazionale, il costo della malattia, le cure mediche le paghiamo con la fiscalità generale.
Senza ribellarci abbiamo consentito a Bruxelles e ai suoi tristi, improponibili commissari di convincere l’Europa virtuosa che combattendo il fumo si mitigano le malattie, che è nostro preciso dovere cercare di vivere più a lungo. Hanno cominciato col mettere l’obbligo di etichetta, quanta nicotina, quanti catrami. Il poco di profumo sopravvissuto se ne è andato nel feticismo del multi filtro, ce ne sono più in una sigaretta che nel controllo dei derivati bancari. Non bastasse hanno aggiunto additivi antincendio, perché bisogna impedire la sciagura, la vecchietta o il vecchietto che si addormentano con la sigaretta accesa e se ne vanno in fumo, che poi è il desiderio inconscio di ogni fumatore, andarsene nel sonno senza soffrire immolati sulla pira del vizio. Le Marisol d’Europa invece si sforzano di informare tutta la collettività al principio di precauzione, zero malattie, lunga vita, sicurezza medico-sanitaria, stradale, ferroviaria, prevenzione delle catastrofe naturali, di alluvioni e terremoti e se non basta la protezione civile c’è sempre la magistratura che distribuisce pene e stabilisce risarcimenti per ogni sciagura, perché il male, la morte il dolore vanno nascosti, aboliti. E’ una trappola per gonzi questo mondo che vorremmo sicuro, ci si sta scomodi e a disagio: per non farti correre il rischio di finire bruciato nel sonno, ti hanno costretto non solo a fumare cose di peggiore qualità, ma a fumarle più in fretta: se non aspiri la sigaretta si spegne e quando vai a riaccenderla, allora sì che fa veramente schifo. L’Europa dei surrogati e delle tabelle prescrittive per ogni prodotto, che incoraggia l’uso del silicone ovunque e se allunghi una mano in cucina tra stampi e coperchi pensi che stai toccando la tetta della prossima miss, prima delle brune decise di cancellare le bionde americane, quelle vere, quella senza filtro: addio Pall Mall e Lucky Strike e le divine Chesterfield che da ragazzi avevamo amato, addio al mito che evocavano, la faccia di James Dean. Le labbra di Lauren Bacall che ci guarda dallo schermo, parla con voce roca e soffia il fumo in faccia al mondo.
Antifascismo per definizione