Salvarsi da Roma

Giulia Pompili

Ho avuto un incidente d’auto, anni fa, dalle parti di Trastevere. Colpa della manutenzione stradale – l’asfalto ricoperto dalle foglie dei platani del Lungotevere. Automobili o mezzi, non c’è modo di sfuggire a traffico, violenza e insensatezza della Capitale

 

Roma. Ho avuto un incidente d’auto, anni fa, dalle parti di Trastevere. Colpa della manutenzione stradale – l’asfalto ricoperto dalle foglie dei platani del Lungotevere. Il mio amico al volante perse il controllo della sua auto e io, che ero seduta dietro, ebbi un fracasso facciale. Al Campidoglio allora c’era Walter Veltroni. Con i soldi del risarcimento – settemila euro, mille euro per ogni dente che persi poiché il naso rotto non era “danno permanente” – mi comprai scaramanticamente una Twingo viola, lasciando per sempre in garage lo Scarabeo bordeaux ché “è troppo pericoloso girare in motorino a Roma”. Nel novembre del 2008 a Roma governava Gianni Alemanno. La Twingo aveva fatto il suo corso proprio come la sinistra al Campidoglio, e infatti un pomeriggio mi lasciò sulla via Flaminia. Cinghia di distribuzione andata. Accostai, con le quattro frecce, sulla corsia d’emergenza. In linea d’aria, saranno stati cinquecento metri dal posto in cui l’anno precedente era stata ammazzata Giovanna Reggiani, la signora che prendeva il treno a Tor Di Quinto, e sulla pelle della quale, poi, la destra vinse le elezioni contro Francesco Rutelli – perché la destra era per le politiche della sicurezza, e c’era bisogno di sicurezza, allora.

 

Ma torniamo al novembre del 2008, verso le 18, corsia d’emergenza, telefono a qualcuno che mi venga a prendere. Due minuti dopo si ferma dietro la mia auto una Mercedes bianca, scendono in quattro. Mi chiudo dentro, ma loro la circondano, e pretendono che io scenda. Telefono al 113, e mentre squilla (diamine, quanto ha squillato) i quattro risalgono e scappano. Messi in fuga dall’autista di un carro attrezzi, che poi – mi spiegherà – aveva capito la situazione: una macchina in panne e quattro zingari a taglieggiarla. Il fatto è che poi l’aggressione fu l’ultima delle cose, perché un attimo dopo un ragazzo in motorino, scendendo sulla corsia d’immissione che poi diventa d’emergenza, prese in pieno il carro attrezzi, morendo sul colpo. La violenza, la morte. Tutto nel giro d’un quarto d’ora. Dalle 18 sono rimasta lì, sulla corsia d’emergenza della via Flaminia, fino alle due di notte, quando la polizia mi ha ridato i documenti e l’autorizzazione ad andar via. Anni dopo andai anche a testimoniare in tribunale, perché i genitori del ragazzo sono ancora in cerca di un colpevole che forse non esiste per una morte così, ma nel frattempo l’autista del carro attrezzi ha ancora il suo mezzo sequestrato dalla magistratura. Io, quella sera, mi permisi non senza imbarazzo di raccontare al poliziotto che ero sconvolta anche perché un attimo prima dell’incidente, sulla corsia d’emergenza di via Flaminia, alle sei del pomeriggio di novembre, ero stata aggredita da quattro persone che mi intimavano di scendere dall’auto. “Eh ma lo fanno, girano aspettando che qualcuno si fermi con la macchina in panne”.

 

Ci sono cose che solo un automobilista romano conosce. Il parcheggio impossibile, la macchina in doppia fila che ti blocca l’uscita dal parcheggio regolare, con un biglietto sul cruscotto che spiega il luogo di ritrovamento del proprietario (una specie di caccia al tesoro, e il premio è uscire da un parcheggio regolare). I parcheggi sul bordo stradale, per cui se provi a fare la manovra necessaria c’è sempre qualcuno che ti suona dietro, la violenza verbale, i semafori che non funzionano, i semafori che funzionano ma sono invisibili perché la vegetazione li copre, li mimetizza. Il traffico a ogni ora del giorno e della notte, strade chiuse con preavviso o senza preavviso. E poi le multe giuste ma poi anche quelle incomprensibili, perché nessuna macchinetta per pagare il parcheggio funziona nel raggio di due chilometri, e non ci sono tabaccai aperti per comprarlo. Una volta parcheggiai sulle strisce bianche, quelle gratuite che il comune prevede per legge. Una ausiliaria del traffico mi multò, e alla mia comprensibile richiesta di spiegazioni mi rispose che non se ne era accorta, che erano parcheggi gratuiti, ma che comunque avrei potuto contestare il verbale. Una procedura amministrativa che a oggi costa esattamente quanto una multa.

 

[**Video_box_2**]C’era già Ignazio Marino al Campidoglio quando decisi di vendere l’auto. Non ne potevo più. Sembrava ormai che la città mi volesse punire per possedere un bene di lusso, che nel corso degli anni tra bollo, assicurazione, multe e benzina buttata (un chilometro a Roma con una utilitaria costa quanto un chilometro in Ferrari) avevo ripagato a caro prezzo. Trentacinque euro mensili all’Atac in cambio della libertà. Ci ho messo un po’ di tempo per capire che avevano ragione quelli del “stai facendo una cazzata”. Gli scioperi di venerdì, lo sciopero bianco a coprire le inefficienze. I ritardi e il caldo torrido – perché non speriate, voi ingenui, di trovare una pensilina alla fermata. La linea di un tram frequentatissimo sostituita improvvisamente con un autobus che contiene la metà dei passeggeri, e che passa la metà delle volte: quindici minuti di tragitto in cui una massa di sconosciuti di ogni estrazione sociale finisce per strusciarsi. L’Eldorado di borseggiatori e palpeggiatori. La famosa livella. Non si tratta più di salvare Roma, ma di salvarsi da Roma.

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.