Il sindaco di Roma Ignazio Marino (foto LaPresse)

Come salvarsi da Ignazio Marino

Salvatore Merlo
L’ecologia, l’inquinamento, lo stufato della pedonalizzazione, dell’acqua pubblica, del Giubileo e della “ripartenza”, il “nuovo inizio”. Che cosa c’è dietro il luogocomunismo moralizzatore del calamitoso sindaco di Roma.

Uno può anche sentirsela di combattere giorno per giorno ladri e malversatori, di stanare crestatori e tangentisti, espungere i corrotti, spazzare via i complici e i conniventi, i mafiosetti capitali; ma come far fronte ai velleitari benecomunisti, come si fa ad arginare la calamità degli Ignazio Marino d’Italia, dei podemisti e degli tsipriotisti, dei mezzi cinquestellisti, degli eroi da società civile? Proprio perché animati dalle migliori intenzioni, costoro sfuggono alla censura. Dilapidano le loro amministrazioni in sciocchezze, operano in base a previsioni e orientamenti puntualmente smentiti dai fatti, si mettono nelle mani di specialisti cervellotici, promuovono idee bislacche. E inoltre tendono a fare la morale per finire moralizzati, come si è visto con Rosario Crocetta. Ma poiché non intascano un euro di cresta, non puoi mandargli a casa i carabinieri, né incriminarli per asineria o incapacità. Un bel guaio. Ed è evidentemente anche questo il paradossale tormento di Matteo Renzi che oggi, alla festa dell’Unità, a Roma, con grazia acrobatica, eviterà, per esempio, d’incontrare Marino, il sindaco che lui vorrebbe mollare ma che invece si deve tenere, quello che dopo due anni in Campidoglio, oggi, dopo aver perso un vicesindaco e otto assessori, è previsto annunci la seconda “ripartenza” della sua giunta sconquassata.

 


E per due anni il sindaco Marino – che qui si vuole elevare ad archetipo dell’eroe civile uscito dalla società incorrotta per combattere il Palazzo – ha cercato scampo in un’incessante campagna extra amministrativa, “diritti civili, salute, ambiente”, avvolgendosi sempre più in un sudario di pasticci ideologici. Così, mentre la città si riempiva di monnezza, lui toccava vette di carezzevole furbizia con la celebrazione dei matrimoni gay, non ancora previsti dal codice civile. Affetto da ogni genere di tic banalgrande, ad agosto del 2013 esordì eliminando l’acqua minerale dagli uffici del comune “perché quella del rubinetto è più buona”. Sensibile ai bacilli della luogocomunite, rinominò prontamente l’assessorato allo Sport in, udite udite: Benessere e Qualità della vita. Roba da disperarsi o divertirsi. Anche la toponomastica cittadina non è sfuggita alle sue attenzioni: negli ultimi due anni ha proposto una via Vittime di Hiroshima, una via Salvador Allende, una via Nelson Mandela e una via Enrico Berlinguer. Inebriato di demagogia, selezionò un capo dei vigili urbani “in base al curriculum”, salvo scoprire poi che il prescelto non aveva i requisiti. E cominciò pure a girare per la città in bicicletta, affrontando i sampietrini sconnessi della capitale, maligni come tagliole, tanto che un pomeriggio finì col sellino per terra, in via del collegio romano, di fronte al ministero della Cultura. Ma non si diede persuaso, anzi annunciò che avrebbe costituito un corpo di polizia municipale su due ruote, come nei telefilm americani, “molto più efficaci per il controllo del territorio” (intanto gli autobus cominciavano a saltare le corse, una banda di magliari stampava biglietti falsi dell’Atac e i pizzardoni romani si preparavano al più assurdo degli scioperi mai visti a memoria d’uomo: per difendere il diritto al certificato medico fasullo, alla finta malattia).

 

 
[**Video_box_2**]Ancora adesso, con mezzo Pd che lo vorrebbe cacciare, Marino va a naso alto, mento in fuori, occhi socchiusi, esponendosi con ideologica miopia ai beffardi precipizi e alle crudeli voragini che si spalancano lungo la strada della realtà. Ed ecco subito l’ecologia, l’inquinamento, il pasticcio dell’urbanistica, lo stracotto dei giovani, lo stufato della pedonalizzazione, dell’acqua pubblica, del Giubileo e della “ripartenza”, il nuovo inizio. “E’ onesto”, dicono tutti. Ma l’appello all’onesta annoia, i richiami a La Malfa che si portava l’aria da casa per non consumare quella del ministero, a Turati che camminava su un piede solo per non logorare il suolo pubblico, sono, come tutte le retoriche, sfasati e controproducenti. Un disonesto lo si può mettere in galera. Ma di un calamitoso eroe della società civile come ci si libera? 

  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi erasmiana a Nottingham. Un tirocinio in epoca universitaria al Corriere del Mezzogiorno (redazione di Bari), ho collaborato con Radiotre, Panorama e Raiuno. Lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.