Ian Buruma

Essere Ian Buruma, beniamino dei giornali e cretino del multifaith

Giulio Meotti
In un editoriale su Repubblica, Ian Buruma ha attaccato il premier inglese David Cameron, reo di aver lanciato una sfida all’islamismo. Buruma lo mette in guardia, evocando addirittura Vidkun Quisling, il collaborazionista filonazista per eccellenza.

Roma. In un editoriale su Repubblica, Ian Buruma ha attaccato il premier inglese David Cameron, reo di aver lanciato una sfida all’islamismo. Buruma lo mette in guardia, evocando addirittura Vidkun Quisling, il collaborazionista filonazista per eccellenza, e ricordando che Frederik Motzfeldt, uno degli estensori della Costituzione norvegese del 1814, affermò che gli ebrei non si sarebbero mai integrati con la popolazione di alcun paese. Come dire, stai attento Cameron, così facendo rischi di trattare i musulmani alla stregua degli ebrei. E’ soltanto l’ultimo degli esercizi di mistificazione di questo darling multifaith, rappresentante delle élite liberal urbane di qua e di là dall’oceano. Buruma è il beniamino della New York Review of Books, dove Buruma è stato dato a lungo come possibile successore alla direzione al posto di Robert Silvers. Ma è anche una firma di peso del Financial Times.

 

Buruma vanta una cattedra di professore di Diritti umani al Bard College (non è irresistibile?). E’ quello che Hazlitt ha definito “il critico del luogo comune”, colui che cerca la verità fra gli estremi. Giornalista olandese trapiantato a Londra e a New York, principe della sinistra culturale benestante ebbra di post moderno e di equivalenza morale, Buruma vive in un appartamento nell’Upper West Side a New York, in un edificio ecologico, con pannelli solari ed energia eolica e annessi pavimenti in bambù. L’Observer ha definito il palazzo “borghese post coloniale”.Quando parla alla Columbia University, Buruma viene presentato come un “global thinker”. E quando è stato annunciato come il vincitore del Premio Erasmo, un comunicato stampa lo ha definito “cittadino di un mondo nuovo, in cui i confini di tutti i tipi sono trascesi, dove persone di culture diverse lavorano insieme per sperimentare lo scambio economico e culturale intrinseco”. Buruma ha iniziato la sua carriera strepitosa come attore, a Tokyo, nella compagnia di Kara Juro; poi come ballerino nella compagnia Dairakudakan e infine come fotografo. Buruma ha sposato una intellettuale giapponese, Eri Hotta, che sul Guardian ha scritto un articolo per “comprendere l’attacco su Pearl Harbor”, in cui sostiene che la guerra nel Pacifico fu colpa dell’aggressività bellica degli Stati Uniti che avevano umiliato Tokyo.

 

Buruma ha legato il suo nome con Avishai Margalit (il fondatore di Peace Now) al libro “Occidentalism, the West through the Eyes of its Enemies”, un atto d’accusa globale contro l’occidente in cofanetto, il degno sequel di “Orientalismo” di Edward Said. E nel suo più recente libro “Taming the gods”, Buruma auspica “una generosa interpretazione della tolleranza che abbracci dottrine illiberali”. E fra queste, con il dio in minuscolo e declinato al plurale, Buruma ci mette dentro tutto, i cristiani battisti del sud americano come gli islamisti che lapidano adultere. Sul Corriere della sera, Buruma aveva già paragonato gli evangelici americani ai jihadisti salafiti. Come ha scritto Steven Menashi della Georgetown University, “Buruma concepisce la democrazia come una politica del dubbio, svincolata da qualsiasi ‘verità assoluta’ (per non parlare di verità evidenti). Questo rende impossibile per lui sostenere il primato morale della democrazia come sistema politico tra gli altri sistemi politici. La democrazia, secondo Buruma, richiede una rigorosa neutralità per quanto riguarda le idee in competizione non solo del bene, ma anche della realtà”.
Buruma ha scritto anche un libro importante sul caso Theo van Gogh, “Morte ad Amsterdam”, ma in cui giunge a esiti comici, e tragici, ovvero alimenta il discorso sulla “islamofobia” come causa di quell’omicidio strategico nel nord Europa multiculturale. Buruma è stato uno degli sponsor intellettuali di Tariq Ramadan mentre veniva bandito dal Dipartimento di stato americano (Buruma ne ha elogiato “l’approccio tradizionale all’islam”). Poi Buruma è riuscito a paragonare Ayaan Hirsi Ali, esule somala, dissidente olandese e poi di nuovo fuggitiva in America, ai fondamentalisti islamici che la vogliono morta. Buruma l’ha definita “una fondamentalista dell’illuminismo”.

 

[**Video_box_2**]Mesi fa, Buruma tirò in ballo Papa Francesco, e già che c’era ci mise dentro anche il traditore della Nsa, Edward Snowden, per compiacersi di come il Papa sia stato “una ventata d’aria fresca” e che Snowden incarna quell’esempio di libera coscienza esaltato da Bergoglio. E’ un narcisista molesto, Ian Buruma, il cretino colto, blasonato e globalista.

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  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.