Umberto Eco (foto LaPresse)

Internet, social network e il moralismo da quattro soldi di Eco

Redazione
Il pregiudizio classista di chi divide il mondo tra imbecilli che dovrebbero tacere e "premi Nobel" che hanno il diritto di parola

Lo sfogo di Umberto Eco che non sopporta gli “imbecilli” che intasano internet con le loro sciocchezze si presta a qualche considerazione sull’atteggiamento dell’intellgentzja nei confronti di quelli che considera gli “scemi del villaggio”. Eco naturalmente ha tutto il diritto di considerare idiozie le opinioni in libertà che si trovano sui social media, anzi il fatto che non rispetti le regole del “politicamente corretto” che prescrive un ipocrita rispetto di tutte le opinioni gli fa onore. Però Eco mette in discussione il diritto di espressione degli “imbecilli” lamenta che abbiano “lo stesso diritto di parola di un Nobel” e qui entra su un terreno assai scivoloso. Mentre riceveva una laurea honoris causa in Comunicazione e cultura dei media, l’intellettuale alessandrino ha in sostanza sostenuto l’esigenza di introdurre una specie di censura, che non si sa peraltro a chi dovrebbe essere affidata. Il filtro dell’imbecillità è la discussione, quello dell’ignoranza la cultura, che debbono essere in grado di confrontarsi e possibilmente anche di persuadere gli imbecilli. Invece Eco sembra protendere per una forma di controllo dall’alto, una specie di gerarchia predeterminata del pensiero, che riflette una visione aristocratica che facilmente degrada nello snobismo.

 

In realtà la rete, proprio perché aperta a tutti, rende un grande servizio, proprio quello di rendere espliciti pensieri e modi di intendere le cose che allignano negli strati non acculturati e per questo possono essere messi a confronto con un pensiero più evoluto. Antonio Gramsci, che fu tra i più acuti analizzatori del ceto intellettuale nazionale, metteva in luce il fatto che i lavoratori manuali, pur avendo “una concezione del mondo tolemaica” (un modo raffinato di dire imbecilli), esercitano una funziona “storica e pratica” superiore a quella degli intellettuali. In questo c’è un pregiudizio classista, ma anche una lezione di democrazia, una condanna della superiorità autoreferenziale che oggi sembra il carattere distintivo dell’intellettualità di sinistra. Eco, che ha tanto spesso saputo uscire dai cori contrapposti degli apocalittici e degli integrati, questa volta ha preso un brutto scivolone nel conformismo.

 

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