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Brugnaro lancia il modello Venezia

Marianna Rizzini

Tra il Cav. e Conte il sindaco dice: “Se ce la fa Venezia ce la fa l’Italia”

Roma. I vaporetti spettrali, con la prua nell’aria, sospesi tra canale e sponda. Gli scheletri delle gondole, l’acqua che sommerge San Marco e il centro storico di Venezia, e il sindaco Luigi Brugnaro che dice “non si può fermare il mare con le mani”. E dice anche, il sindaco civico e imprenditore, sostenuto da una maggioranza di centrodestra, parlando anche al centrosinistra e anche a quelli che di fronte alle grandi opere innalzano sempre un “no”, che il Mose “deve essere assolutamente finito”. E’ il giorno in cui il premier Giuseppe Conte, dopo essere stato a Venezia, riunisce il governo per dichiarare lo stato d’emergenza e lo stanziamento di risorse per la laguna nel disastro, ed è il giorno in cui Silvio Berlusconi, arrivato in città, parla dello stesso Brugnaro come di un uomo “con visione nazionale”, “possibile protagonista del futuro” (magari al vertice della futuribile nuova creatura politica berlusconiana “Altra Italia”?).

 

Brugnaro ringrazia l’uno e l’altro, e al momento dice di sentirsi soltanto sindaco di Venezia, ma Venezia per lui significa già molto altro: “Se ce la fa Venezia ce la fa l’Italia, se diamo il buon esempio lavorando insieme e con rispetto reciproco per ricostruire qui, vuol dire che possiamo recuperare dignità di paese, come l’Italia ha già fatto nel Dopoguerra”. Mentre l’acqua minaccia di salire ancora, Brugnaro pensa a tutte le altre ripartenze (Taranto in testa) che, dice, “rinnoverebbero nel paese la coscienza di sé, nel rispetto e nel rilancio dei valori occidentali. E Venezia ne sa qualcosa, essendo stata al tempo stesso porta d’Oriente e bastione per l’Occidente”.

 

Il Mose, dunque, l’opera incompiuta ma quasi compiuta che da trent’anni scatena opposte tribune: “E pensare”, dice Brugnaro, “che l’idea del Mose è nata ai tempi della grande alluvione del 1966, alluvione che colpì Venezia come Firenze, in un’epoca in cui, anche grazie alla campagna di stampa orchestrata allora dal grande direttore del Gazzettino Giorgio Lago, fu varata una legge speciale per Venezia e si pensò alla costruzione di barriere mobili. Ma di questa opera si è sempre occupato lo stato, escludendo la città e reiterando i dubbi. E per carità, i dubbi sono sacrosanti, posso averli anche io, ma non possono immobilizzarci. Sono trent’anni che se ne discute, in base alla scienza e alla tecnica e alla previsione dei cambiamenti climatici, e anche gli scettici di allora oggi si rendono conto che questa è la via da percorrere. E però ora, come città che vive sul mare e con il mare, a Venezia vogliamo partecipare, nella massima trasparenza. Questo ho chiesto a Conte, di questo ho parlato con lui e con il ministro delle Infrastrutture Paola De Micheli, che non conoscevo e in cui ho visto competenza e disponibilità”. E però, per andare avanti con il Mose e in generale per attuare alcune soluzioni utili per il paese bisogna scardinare l’attitudine al “no” che serpeggia prima di tutto, anche se non solo, nel M5s. “La decrescita cosiddetta felice”, dice Brugnaro, “si scardina mostrando il duro lavoro, duro lavoro delle imprese e delle persone che, e parlo intanto di Venezia, ancora stamattina stavano asciugando le proprie case. Ripeto: se diamo il buon esempio, esempio di buon governo e di impegno nel lavoro inteso non soltanto come mezzo di sostentamento ma anche come viatico di dignità, io credo che molte persone non saranno più tentate dai movimenti che diffondono paura, sospetto, violenza verbale, elogio dell’incapacità come purezza. Questo paese e questa città hanno già dimostrato di essere qualcosa di miracoloso. Credo stia ora sta arrivando il momento dei capaci. Ricordiamoci sempre che cosa hanno fatto i cittadini di questo paese, senza distinzioni, lavorando insieme pur nella diversità delle idee, dopo il 1945, in pochissimi anni”. E “la speranza nel futuro per i giovani”, dice il sindaco che molti vedono già proiettato in un altrove nazionale, “passa da una trincea fatta anche dalla difesa dei valori occidentali di cui parlavo, e dalla concezione di un’Italia inclusiva e davvero democratica, in cui si rispetta e non si denigra chi, con il voto, ha conquistato la maggioranza, aspettando di diventare maggioranza a propria volta con un altro voto. La tua libertà finisce dove inizia quella dell’altro: semplice, ma oggi a volte serve ripeterlo. Dopodiché contano i fatti: quello che siamo in grado di dare prima ancora di quello che siamo in grado di dire”.

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  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.