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“Vietare l'alcol a San Lorenzo è una ridicola ammissione d'impotenza”

Valerio Valentini

Il divieto di Raggi dopo l'omicidio di Desirée Mariottini. Tamar Pitch, autrice di “contro il decoro”, spiega il feticcio securitario

Roma. “Ridicola, più che scandalosa”. Ché lo scandalo, del resto, presuppone una certa meraviglia, o quantomeno lo stupore. “E invece la decisione di Virginia Raggi, che annuncia il divieto di consumo di alcool in strada dopo le 21, rientra ormai in una tendenza abituale di sindaci e amministratori di vario colore politico”. Tamar Pitch è stata per anni professoressa di Sociologia e Filosofia del diritto all’Università di Perugia. Allieva di Tullio Seppilli, ha iniziato le sue ricerche nel campo dell’antropologia: ha studiato la devianza e la criminologia, poi si è specializzata nel campo della Giurisprudenza. All’“uso politico della pubblica decenza” ha dedicato un libro che quando venne pubblicato, nel 2012, venne accolto un po’ come una provocazione. “Contro il decoro”, s’intitolava. “Ma non è certo contro la pulizia, i servizi efficienti, l’illuminazione pubblica e le strade senza buche, che me la prendevo e me la prendo. Semmai è il feticcio del decoro che trovo insopportabile: e le ordinanze di questi ultimi mesi fatte da sindaci leghisti, così come quella annunciata dalla Raggi a Roma, rafforzano questa mia insofferenza”.

 

E’ convinta che non servirà a granché, vietare l’uso di alcool di sera per le strade di San Lorenzo? “Se alla morte tragica di una ragazza legata a un contesto di disagio umano e sociale si reagisce con questi divieti, mi pare evidente che siamo di fronte a una risposta poco intelligente, dal vago sapore elettoralistico. E’ insomma il solito tentativo di nascondere sotto al tappeto ciò che non si vuole vedere. E’ una dichiarazione d’impotenza: non so come affrontare il problema legato allo spaccio, all’insicurezza, al disagio, e allora m’invento un divieto che renda questi problemi meno evidenti. Ma questo non è decoro: è una semplice divisione tra cittadini per bene, o supposti tali, e disperati”.

 

Ma a Roma il degrado è innegabile. “Certo, e non solo in periferia”, dice Pitch, facendo evidentemente riferimento – lei, figlia di un esule ebreo tedesco fuggito dalla Germania nel ’33 e poi arrivato a Siena insieme agli Alleati – allo scenario che ogni giorno le si para davanti, tutt’intorno alla sua casa nei pressi del Colosseo. “Ma proprio per questo, non posso non constatare che tutto ciò che potrebbe favorire in modo sano un miglioramento del contesto urbano manca totalmente. La mappa del commercio, a Roma come a Firenze e come in tante altre città storiche italiane, è tremenda: aprono dovunque negozietti di cianfrusaglie, c’è una gentrificazione incontrollata, le botteghe degli artigiani e i residenti abbandonano i loro quartieri d’origine, anche quelli un tempo più vitali”. E sembra, in effetti, una fotografia abbastanza fedele di San Lorenzo. “Una città è sicura anche e soprattutto se è vissuta, in primo luogo dai propri abitanti: invece qui si incentiva il turismo mordi e fuggi, la riqualificazione urbanistica è una semplice formula retorica mentre in realtà si recintano gli spazi pubblici”.

 

Cosa dovrebbe fare la Raggi? “Qualche settimana fa il presidente della Camera Roberto Fico, che è del M5s pure lui, ha detto che ‘la sicurezza si costruisce tramite la costruzione di altri diritti, come quello all’istruzione e a vivere in una città sana’, mentre le politiche securitarie sono al contrario un arretramento sul piano dei diritti. Ecco, direi che è una buona base da cui partire. Qui, detto molto semplicemente, ci sarebbe prima di tutto da prendersi cura della città: marciapiedi, lampioni, aiuole. Ma d’altronde la Raggi non ha né la competenza né i poteri per attuare simili politiche. Senza contare, poi, che il suo partito è alleato con un imprenditore della paura come Matteo Salvini, che ha tutto l’interesse a tenere alta la tensione a livello sociale. Basta guardare il decreto sicurezza, che rischia di peggiorare la situazione legata all’accoglienza e all’integrazione. Fare politiche sociali intelligenti d’altronde è molto più difficile e dispendioso. Assai più facile fare come è stato fatto al Tiburtino qualche giorno fa: si tira su un bel muro divisorio intorno al campo profughi del Baobab, e ci si illude che il problema dei 300 migranti ospitati lì non esista più”.

 

C’è chi dice che servano più regole, però. Forse anche per questo, a Pisa, è stata emanata un’ordinanza dal nuovo sindaco leghista: vietato sedersi sugli scalini esterni degli edifici pubblici, vietato mangiare o sedersi sulle spallette dell’Arno. “Ridicolo, appunto. Senza contare che poi c’è un problema di coerenza, o se vogliamo di ipocrisia”. Ovvero? “Questa classe politica è arrivata al governo inneggiando al vaffanculo e alle ruspe. Dal rifiuto delle regole, delle convenzioni, trae la sua legittimazione, ma poi criminalizza Mimmo Lucano, il sindaco di Riace, per un presunto illecito legato alla compilazione di un albo comunale per le cooperative sociali”. Di Maio e Salvini sopportano con una insofferenza esibita, dichiarata, i vincoli di bilancio e quelli costituzionali, rivendicano la necessità, perfino, di violare le regole, e poi esaltano l’ordine e la disciplina, pretendono che a rispettare norme spesso incomprensibili, come quelle di sedersi sui marciapiedi, siano i semplici cittadini. Insomma l’apoteosi del ‘me ne frego’ che s’accompagna con la retorica dei treni che arrivano in orario”. Come quando c’era lui? “Le analogie col passato vanno sempre lette in maniera molto critica. Ma da questo angolo visuale, certi parallelismi cominciano ad apparire non più così peregrini”.