Una notte (stupefacente) al museo

Maurizio Stefanini

Apre a Las Vegas un museo dedicato alla cannabis (mentre a Medellín chiude la Casa di Pablo Escobar). Quando la droga diventa un'attrazione per turisti

Quasi una stupefacente staffetta: stupefacente, nel senso più allucinogeno del termine. Il 19 settembre, a Medellín, è stato chiuso il museo dedicato al “re della cocaina” Pablo Escobar. Il giorno dopo, a Las Vegas, ha invece aperto il Museo dedicato alla canapa indiana.

 

Sia la chiusura in Colombia che l’apertura in Nevada, in realtà, potrebbero essere non definitive. La Casa Museo di Escobar in effetti non aveva il permessi di svolgere attività turistiche e commerciali, e dunque è stata chiusa per irregolarità amministrative. In teoria, dovesse arrivare la licenza, il museo potrebbe riprendere la propria attività. E il proprietario ha già detto che la richiederà. Difficile, però, che l’attuale sindaco di Medellín gliela conceda. Ingegnere, già esponente del partito dell’ex-presidente Juan Manuel Santos ma poi eletto con una lista civica, Federico Gutiérrez, ha da tempo indicato come uno dei suoi obiettivi principali quello di far sparire dalla città i “narcotour” offerti soprattutto a turisti stranieri. La Casa Museo, ovviamente, ne fa parte assieme alla ex-proprietà di Escobar edificio Monaco e al cimitero Montesacro dove sono sepolti i suoi resti. In realtà, l'edificio non apparteneva a Pablo ma a suo fratello Roberto, ucciso dai poliziotti il primo dicembre 1993. All'interno gadget appartenuti al celebre narcotrafficante. I visitatori, a quanto si apprende, pagavano l’equivalente di 30 dollari per visitarla, 35 per il tour completo.

 

Molto più economico, il biglietto per il Cannabition Cannabis Museum: solo 4,20 dollari. Anche qui, però, non mancano i problemi. In Nevada il consumo pubblico dei derivati della canapa indiana è proibito, anche se l’uso ricreativo in privato è stato autorizzato 15 mesi fa. L’ingresso è riservato ai maggiori di 21 anni che, malgrado il Cannabition si presenti esplicitamente come “museo interattivo”, potranno dunque vedere, ma senza sperimentare. Eppure la pubblicità lo descrive come “un posto per permettere agli entusiasti della marijuana di distrarsi e socializzare” aggiungendo che, nel museo, “ogni stanza racconta una differente storia sulla pianta di cannabis, permettendo ai visitatori di assistere alla coltivazione e alla raccolta prima di scivolare in una piscina gigante di pepite di marijuana e di sbarcare nella Sala Rituale”. Pezzo forte, una pipa ad acqua alta circa 7 metri. “Perfettamente funzionante”, garantiscono, anche se probabilmente manca un consumatore – diciamo così – all’altezza.

 

In realtà di musei della droga sparsi per il mondo ce ne sono parecchi. Già nel 1976, quando per commemorare il bicentenario degli Stati Uniti il governo di Washington aveva chiesto alle sue agenzie di allestire musei che raccontassero la loro storia, un agente della Drug Enforcement Administration che lavorava nel centro di addestramento cominciò a raccogliere vecchi distintivi, uniformi e altri oggetti legati all’attività dell’agenzia anti-droga. Con quelli fu aperto nel 1999 ad Arlington, in Virginia, un museo che racconta non solo la storia della Dea ma anche quella della droga: dalla produzione fino al commercio e al consumo.

 

Anche presso il ministero della Difesa messicano c’è un museo della droga, ma e l'accesso è riservato solo a cadetti e invitati, e l'obiettivo è quello di mostrare ai soldati ciò contro cui devono combattere e far capire ai giovani i relativi pericoli. Ecco quindi le scarpe create per nascondere droga nella suola, piccoli laboratori, persino armi in oro e diamanti di narcos famosi.

Approccio ancora è quello dello Hash, Marihuana & Hemp Museum di Amsterdam. Oltre a indagare il rapporto tra droghe e religioni, il museo spiega gli utilizzi alternativi della canapa indiana, racconta la storia dei coffee shop di Amsterdam, e sostiene pure che la Regina Vittoria era solita utilizzare la marijuana come antidolorifico.

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