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Non solo auto elettriche. La Formula E illumina l'Eur

Michele Masneri

Finalmente il quartiere della modernità romana trova un uso degno della sua vocazione. Ecco come la città ha accolto l'evento e chi c'era a seguire il gran premio

Quanto sarebbe piaciuto a Sua Eccellenza Benito Mussolini questo gran premio elettrico all’Eur: non sarà proprio la formula 1, e l’Eur non è Montecarlo (il mare è più lontano, ma i palazzi più drammatici). Però il cinema, la moda, i battuage, finalmente il quartiere della modernità romana trova un uso degno della sua vocazione. L’auto in corsa è più bella della Nike (non la scarpa) di Samotracia, diceva un’altra eccellenza, Filippo Tommaso Marinetti. E a tutti e due, il ducione e il futurista, sarebbe piaciuto anche il rumore di questa formula E che un sabato pomeriggio afoso sfreccia per Roma: il rumore non è quello maschio della 1, è semmai un sibilo, di missile: se l’auto elettrica è silenziosa in città, qui, sottoposta a stress, fa dei lamenti, sibila appunto (come di delfino, dice qualcuno, o di suino al mattatoio, dice qualcuno poco rispettoso).

   

L’Eur, di sabato. Elettrizzante. Arrivi alla metropolitana Fermi, e come fatto apposta, subito usciti dalla fermata ecco una Smart elettrica, emblema di modernità e smart city, e accanto, un bel bus dell’Atac spiaggiato lì in mezzo all’asfalto rugoso, col suo triangolo di desolazione. Guasto. Se fossimo a Milano sarebbe un’installazione Seletti per il Salone del Mobile, invece qui è tutto reale e neorealista. Sulla testa volteggia un elicottero, ed è subito Fellini e Dolce Vita, anche se non c’è un cristone appeso. Volteggia e basta. Si va avanti, e tra i vialoni dell’Eur si passa la Nuvola deserta, che fa da specchio a un hotel “Dei congressi” con alluminii ottonati e palme, e sembra Sicilia. Doppi e tripli controlli, metal detector, tutta un’efficienza organizzata, e siamo sugli spalti. Ancora quel rumore, i maiali al macello. Queste macchine però son belle, al di là del sibilo suino, è come al Gran premio normale, e come a un GP normale non succede niente per un po’, poi sfrecciano i bolidi e il pubblico urla, fa “oooh”. C’è un commento continuo negli altoparlanti che nessuno riesce a udire e una musica unz-unz a coagulare il tutto. La similitudine suina continua dopo i controlli: ecco subito un “truck food” molto local, con camioncino (brand Aporketta, claim: “La vita è una cosa meravigliosa ma anche la crosta della porchetta non scherza per niente”). Dai palazzi, dai ponteggi, dai balconi, nugoli di impiegati appesi stanno lì a guardare, forse si saranno nascosti in ufficio da venerdì (la regione Lazio, già Megaditta nella finzione fantozziana, è a pochi chilometri).

     

Certo ci sono delle differenze col gran premio petrolifero: accanto alla classifica, sui tabelloni, c’è la percentuale di batteria, come se a correre ci fossero degli iPhone (“ammazza, cià l’undici per cento, ‘ndo va!”, dice un papà al figlio sugli spalti strapieni). Quando finiscono la batteria, siccome giustamente non possono fare il pieno ai box, cambiano la macchina (ogni scuderia ne ha almeno due).

   

L’Eur è l’Eur nella sua maestosità genderfree. Siamo in città o in periferia? Al mare? Così direbbero gli intonaci che franano e i pini che sollevano gli asfalti con le radici. Passano famiglie benestanti coi nonni col cappotto, e il pacchetto di pastarelle, ci sono i cinema e i bar aperti, l’Eur non è mica male, si pensa sempre, per non venirci mai. C’è la casa di Pasolini ( «Un attico pieno del sole antico / e sempre crudelmente nuovo di Roma / costruirei sulla terrazza una vetrata / con tende scure, di impalpabile tela / ci metterei», scriveva nel Mio desiderio di ricchezza. Sarà la casa della sua sepoltura.

   

Ci sono i palazzi di Stato e del Parastato, quello della Civiltà romana appaltato a Fendi; (e la formula E coi suoi magnati cosmopoliti è la seconda iniezione di surrealtà opulenta nel quartiere dell’inconscio futuristico d’Italia, dopo Karl Lagerfeld che arriva ogni mattina col suo jet da Parigi).

   

In effetti all’Eur oggi ci sono i ricchi veri: non sugli spalti (sugli spalti ci sono solo famigliole e qualche notabile di secondo e terzo piano che nell’isteria politica del momento prende il placement come un downgrade e si sente malissimo. Ai bagni chimici in fila nel compound si incontra l’ex ministro Pecoraro Scanio: che farà in questo compound popolare, ci si chiede. In fondo è il mentore dell’eminenza grigia grillina, Vincenzo Spadafora, il Talleyrand di Di Maio). I ricchi e i potenti veri stanno infatti nelle varie lounge, brandizzate e impiantate dalle case automobilistiche, l’Audi, la Bmw, la DS. Ci sono berlinone grossissime e scure con piloti azzimatissimi, è il potere economico, targato Monaco, oscurano vecchie gippette dei Vigili del Fuoco ossidate dal sole (“di fronte al marco pesante m’arendo”, cantava Christian De Sica prima dell’euro). Di Maio chissà con che mezzo di fortuna è venuto.

   

Anche tra lounge c’è competizione. Da Audi hanno puntato sull’education e fanno dei talk (“du palle”, dice un avventore), mentre la più ambita, che sequestra l’esimio museo Pigorini delle Arti e tradizioni popolari, si chiama “Emotion lounge” e comprende anche un pratino. Dentro, stand degli sponsor più celestiali: il colosso industriale svizzero ABB, quello della gestione patrimoniale svizzera Julius Baer; champagne Mumm. E’ lì che arrivano tutti i potenti. E’ lì che Di Maio si affaccia al balcone. I fortunati ammessi hanno badge di siderale categoria, con controlli più ardui che alle convention della Casaleggio e Associati; c’è tutta una questione di braccialetti e distintivi, dal blu proletario a un contrassegno padronale grande quanto un foglio-protocollo. I fortunati ammessi si dirigono verso l’open bar e ricevono dei cappelli di paglia. Così tutti si buttano fuori nel prato da dove si intravede a malapena le macchine e si sentono i rumori della mattanza dei porcelli solo in lontananza. Solo alle 4 in punto quando parte la gara i magnati fingono interesse, poi si concentrano sul sole romano un po’ offuscato dalle nuvole e bevono Spritz in calici a stelo.

  

Tutti coi loro cappelli di paglia si tolgono calze e scarpe e assaporano il freschetto del pratino. Ci sarebbe anche la visita gratuita al museo Pigorini stesso (museo perennemente a rischio chiusura. Oggi è gratis e tutti dicono “magari dopo, thank you”, ma nessuno sale la fatidica scala). Si sta così bene coi piedi nell’erba. Dentro al fresco c’è Alberto di Monaco che –racconta un esperto – è qui perché intende diventare un boss della formula E; fondendola con la 1. C’è la sindaca Raggi, c’è Luigi Di Maio subito omaggiato da tutti, primo fra tutti Giovanni Malagò; Di Maio sta in balcone, fa selfie, perfettamente a suo agio tra le celebrità sportive dopo la dura gavetta da steward.

 

C’è Alejandro Agag, il genero dell’ex premier spagnolo Aznar, che parla fitto fitto con Raggi. Tutti si chiedono che intenzioni abbia questo quasi cinquantenne che aveva un futuro politico pazzesco (eurodeputato, poi banchiere e superconsulente, da quattro anni è a capo del circuito Formula E). Cosa si dirà con Di Maio? Paranoia politica, lunedì ricominciano le consultazioni. C’è Tajani, sempre molto signorile. C’è Meloni con fidanzato nerboruto.

 

Nel pratino, sempre, commenti di un dandy italiano: “Questo campionato elettrico è stupendo, una comodità, dura un’ora in tutto, e poi vai a casa”; in effetti la gara in sé dura cinquanta minuti, invece delle due ore della Formula 1. L’Eur in generale piace molto a questi sdraiati del pratino (genere: blazer molto avvitati, brizzolature, Rolex e Audemars-Piguet, accenti tedeschi affinati in barrique: è un Royal Ascot amatriciano).

 

“Rispetto a Berlino non c’è paragone. Lì si faceva nell’ex aeroporto del Tempelhof, una cosa miserrima rispetto all’Eur” dicono, c’è tutto un giro di aficionados già di questa kermesse itinerante. A Roma poi “sei praticamente in centro, e arrivi con la metropolitana”. Sulla metro, poi, scene da Bunuel; insieme a frotte di pischelli che vanno “al” centro e sbraitano gutturali, le genti del pratino li osservano come installazioni di un Miart (“ma rispetto ai coatti parigini o californiani saranno diversi o è solo perché qui capiamo tutte le parole e i codici?”). Tutti a dire che in fondo questa metropolitana è divina: sulla famigerata linea B i sedili blu son nuovissimi, scintillanti, alle fermate degli addetti in parannanza gialla aiutano e danno informazioni.

     

Roma immaginaria. Il pratino non può non dirsi grillista. “La Raggi è stata furbissima, si è fatta ripagare tutti i rifacimenti delle strade”, “dovrebbero farne uno all’anno in un quartiere diverso”, dice una signora più local nel corner Enel. Si parla del gran party della sera prima, organizzato dal colosso delle vetture indiano Mahindra, che ha rilevato la Pininfarina e adesso insieme al giornale GQ ha messo su dei banchetti a palazzo Barberini. La Formula E (ur) è democratica: come sempre a Roma si assiste a una moltiplicazione di Vip. Alla griglia di partenza nei gran premi normali ci sono solo pochi eletti e teste coronate. Qui ci saranno 500 persone. E’ l’effetto Auditorium: l’esclusività frana subito nell’ottobrata.

     

“Le riprese televisive son perfette con quei fondali”, dice un milanese. I fondali sono poi la città immaginaria di Mussolini per l’esposizione universale che mai avrà luogo. La grande incompiuta romana accoglie tutti: gli stilisti, le archistar, e mo’ pure i ricconi della Formula 1, anzi E. Il fondale dell’arrivo è guastato da un distributore di benzina, che impalla il trionfo elettrico. Per il resto, pigrizie romane e snobismi al contrario. Alla fine Roma si ribella al grande capitale elettrico, e fa piovere, anche se poco.

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