Nella Firenze senza più identità, il McDonald's ci sarebbe stato benissimo

David Allegranti
Molto si dibatte per l’apertura di un fastfood in piazza del Duomo. Il no più vigoroso è arrivato dal sindaco Dario Nardella, versione sovranista, per tutelare il centro storico di Firenze.

Firenze. McDonald’s ladrona, Firenze non perdona! Molto si dibatte per l’apertura di un fastfood in piazza del Duomo. Il no più vigoroso è arrivato dal sindaco Dario Nardella, versione sovranista, che ha messo mano al suo breviario, il regolamento Unesco per tutelare il centro storico, approvato quest’anno dal Comune, e che prescrive per i nuovi negozi la filiera corta con almeno il cinquanta per cento di prodotti toscani (gli altri si devono adeguare entro tre anni). L’azienda americana, che ha incontrato l’amministrazione nel corso dei mesi scorsi, ha spiegato di volere aprire un locale in linea il più possibile con il decoro urbano richiesto dai nuovi breviari nardelliani, ma il sindaco insiste: “Ribadisco la mia contrarietà e quella della giunta – dice Nardella – all’apertura di un negozio McDonald’s in piazza del Duomo; non solo, anche in altre piazze storiche e di pregio del nostro centro storico, che, ricordiamolo, è patrimonio dell’Unesco”.

 


Dario Nardella, sindaco di Firenze (foto LaPresse)


 

Da qualche tempo Firenze ha riscoperto il tema dell’identità; solo che non avendone più una – in mezzo alla sagra del “come eravamo”, con la cernita dei negozi più o meno storici che non ci sono più, signora mia, tutto un barrire per la merceria sparita a favore di kebabbaro – la politica è dovuta passare a (re)inventarsene di nuove. Eppure, diceva Edmondo Berselli, “come sanno i più scettici, l’identità viene inventata quando la comunità crolla”. In piazza Duomo ci sono già Lindt, Swatch, persino un negozio Magnum Algida dove puoi mettere le praline sullo stecco e credere pure che ti abbiano davvero fatto un gelato personalizzato, chessò, un Magnum Nardella. Il McDonald’s stesso sarebbe potuto sorgere al posto di una catena di negozi sportivi, dove non si vendono tute – o toni, come si dice a Firenze – made in Tuscany ma vestiti global made in Delocalizzandia. Sicché non si capisce davvero lo scandalo dell’apertura, visto che la città è già un parco giochi (per fiorentini e anglobeceri) dove si spacciano pizze di cartone e gelati gonfiati ad aria, dove pare che tutti i paninari siano lampredottai della prima ora mentre invece abbondano self-service che trasudano plastica a un solo sguardo.

 

Insomma, Firenze è già la Disneyland di un sol giorno, città dove gli orrendi dehor dei caffè di piazza della Repubblica sono diventati una specie di secondo locale stile acquario, a far da contorno all’Hard Rock Café e alla Nespresso, tutti posti dove un tempo c’erano un cinema, il Gabrinus con annessa sala da biliardo sotterranea – frequentato dagli omonimi “gambrini”, i fighetti del centro che si sono trasferiti dopo la chiusura poco più in là, in piazza Strozzi, ma sempre grambrini alla fine rimangono, perché certa fighettitudine è uno state of mind – e la Ricordi, di cui ci ricordiamo soprattutto i prezzi folli per dischi e film. Quando Eataly aprì – evviva, siano benedette le sue creme al pistacchio – non molto distante dal Duomo in via Martelli, al posto di una libreria, l’amministrazione Renzi fu ben lieta di accogliere un supermercato di lusso con ristorazione, che riuscì ad aprire, nonostante i vincoli di destinazione, per vendere prelibati biscotti delle Langhe nei locali dove un tempo c’erano libri.

 

Eataly è tipicamente fiorentina? No, e in fondo chissenefrega: pare che il problema di Firenze siano i suoi panini e gli hamburger in piazza Duomo, e mentre si continua a berciare attorno al degrado e al puzzo di piscio che si fa rancido in certe zone, mentre ci si dimentica che Firenze non è solo il suo centro storico, beh, si continua a non vedere il regresso intellettuale e culturale di una città che aveva le sue avanguardie nei Giuseppe Prezzolini e nei Giovanni Papini e che oggi fa un “dibbbattito” ipocrita sulla tutela di un’identità inventata. A proposito: e le periferie? Il nuovo mantra del centrosinistra, dopo la cenciata di Roma, non sono le periferie? “Sono qui per dire al mondo intero che la modernità deve finire”, dice un pensatore contemporaneo in un super cliccato video su YouTube, un messaggio che potrebbe piacere al sovranista Nardella. La modernità fiorentina forse è già bell’e finita fra le pizze cartonate e i venditori di paccottiglia abusiva nelle vie del centro. D’altra parte lo disse anche Andy Warhol: “La cosa più bella di Firenze è McDonald’s”.

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  • David Allegranti
  • David Allegranti, fiorentino, 1984. Al Foglio si occupa di politica. In redazione dal 2016. È diventato giornalista professionista al Corriere Fiorentino. Ha scritto per Vanity Fair e per Panorama. Ha lavorato in tv, a Gazebo (RaiTre) e La Gabbia (La7). Ha scritto cinque libri: Matteo Renzi, il rottamatore del Pd (2011, Vallecchi), The Boy (2014, Marsilio), Siena Brucia (2015, Laterza), Matteo Le Pen (2016, Fandango), Come si diventa leghisti (2019, Utet). Interista. Premio Ghinetti giovani 2012. Nel 2020 ha vinto il premio Biagio Agnes categoria Under 40. Su Twitter è @davidallegranti.