(foto Ansa)

genitori bestie

Tutti i perché delle coltellate a una professoressa

Maurizio Crippa

Come mai cresce la violenza contro gli insegnanti? L’ultimo caso, a Varese, rimanda a un disagio giovanile drammatico. Ma molto peggio è il populismo aggressivo degli adulti che odiano la competenza

Il coltello a serramanico non è propriamente un’arma occasionale, i colpi alla schiena più d’uno, dunque intenzionali; il luogo è l’ingresso di una scuola, otto del mattino, un istituto professionale in periferia a Varese. La professoressa aggredita è in ospedale, codice giallo. Del diciassettenne che l’ha ferita (accusa formalizzata in tentato omicidio), si sa che non risulta in carico ai servizi sociali, anche se la scuola ha confermato che si tratta di un “soggetto a diagnosi funzionale”, problemi psichici. E dunque andrà (o andrebbe) curato, più che rinchiuso. E dunque un po’ può essere compito e responsabilità della istituzione scolastica, dei docenti e dei servizi e supporti medici dentro le scuole. Che ci sono, quando ci sono. Ma ci vorrebbero servizi e supporti anche fuori: perché la scuola, messi da parte tutti i pedagogismi astratti e tutte le sociologie inclusive di cui si riempie la bocca la politica, non è né può essere un luogo di cura per tutti i tipi di problemi psichici o comportamentali. E, soprattutto, i docenti non sono lì per diventare vittime sacrificali.

Poco lontano da Varese, Abbiategrasso, la primavera scorsa un’altra professoressa era stata accoltellata, questa volta in classe, da un allievo. I cui genitori, anziché riconoscere la gravità del gesto del figlio, impugnarono la decisione di espulsione e di bocciatura da parte della scuola. Già, perché l’altra linea di fuoco aperta contro gli insegnanti è costituita spesso dalle famiglie. E non solo da quelle use alla violenza fisica: esiste anche una violenza fatta di prevaricazione, di delegittimazione altrettanto grave. In pochi giorni, la settimana scorsa, un dirigente scolastico di Taranto è stato aggredito dal padre di una alunna che era stata rimproverata dall’insegnante e a Lucera, Foggia, un altro preside è stato malmenato da una madre che intendeva farsi giustizia da sé in difesa del proprio pargoletto. La scorsa primavera in Sardegna un docente è stato preso a testate da un papà; a Castellammare di Stabia una  prof.  è stata presa a schiaffi da una madre per i brutti voti della figlia. 

 

La professoressa accoltellata oggi a Varese, e le persone che con lei stavano entrando a scuola, non hanno visto arrivare l’assalitore minorenne armato. Ma è tutta la scuola italiana, la società italiana, che “non ha visto arrivare”, come direbbe qualcuno, una violenza contro gli insegnanti, contro il loro ruolo pubblico e la loro stessa integrità fisica che invece va crescendo da molti anni. Il ministro Giuseppe Valditara ha dichiarato che “chi aggredisce un dipendente scolastico aggredisce lo stato”, annunciando – già da tempo – robuste misure in difesa del personale minacciato. Giusto e sacrosanto. Ma non basterà ad arginare un fenomeno che non è solo questione di leggi o di agenti di sorveglianza (servirebbero pure), perché questa esplosione di violenza ha la sua fonte e origine in una delegittimazione ignorante, populista, malsana che purtroppo non riguarda solo i docenti. Quanti medici e infermieri vengono aggrediti e feriti (persino uccisi) da gente che ritiene di saperne di più di loro, di avere il diritto di “punire” per una diagnosi errata, o un farmaco negato? Ma questa aggressività belluina con la “funzione docente” diventa anche più evidente e paradossale. Perché la scuola è la realtà più vicina alle famiglie; perché l’insegnante è da sempre un punto di riferimento educativo e morale; perché genitori che trasmettono ai figli il disprezzo e l’arroganza contro gli insegnanti sono i primi, tremendi e colpevoli responsabili del degrado sociale e del diffondersi di una violenza giovanile di cui le cronache grondano. 
Breve contestualizzazione. Lo scorso anno in Italia le aggressioni al personale scolastico sono state oltre trenta. Da inizio 2024 sono già 27. Nel 2023 uno studio della polizia penitenziaria minorile in collaborazione con l’Università Cattolica e il Dipartimento di giustizia minorile del ministero ha rilevato che il 94 per cento dei minori “in osservazione da parte degli Ussm (Uffici di servizio sociale per minorenni)” è colpevole di risse, il 77 per cento di furti e rapine, il 64 di bullismo. Il 67 per cento dei ragazzi compie atti vandalici, il 62 spaccia. Il numero delle violenze sessuali di e su minorenni segue di pari ritmo. Quello che colpisce gli inquirenti è spesso l’uso di “una violenza feroce, gratuita, senza senso”. Lo stupore perché non si rileva “alcun pentimento verso la vittima” e nemmeno la consapevolezza della gravità delle proprie azioni – i ragazzi che tesero una fune d’acciaio ad altezza d’uomo su una strada di Milano hanno insistito nella giustificazione che “era un gioco” suscitato dalla noia. Ma c’è qualcosa di più tragico, profondo, che a volte si riversa come sfogo e violenza sugli insegnanti, che sono spesso l’unica figura adulta a portata di arma. Qualche mese fa in una drammatica inchiesta di Repubblica sull’autolesionismo adolescenziale il responsabile di Neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza del Bambino Gesù di Roma parlava di “una vera e propria emergenza psichiatrica”, con 387 casi in un anno di tentati suicidi. Il Covid, sappiamo, ha ingigantito tutto  e sui presìdi non si fa abbastanza.

 

Fine del contesto, che ovviamente non è una giustificazione, in cui si inseriscono spesso gli episodi di violenza anche contro i docenti. Bisogna tornare a Taranto, a Foggia e a tutti quei casi, infinitamente più gravi, in cui sono i genitori a fare violenza. Che senso ha? Anche in Francia gli insegnanti sono spesso vittime, ma spesso c’entra l’islam radicale. E non mancano le violenze in più o meno tutti i paesi d’Europa. Ma in Italia c’è un’emergenza che cresce e non da ieri. Com’è possibile? E’ possibile in un clima sociale tossico in cui uno vale uno. In cui le famigerate chat dei genitori si trasformano in processi sommari popolari, violenti e ignoranti. Ma è possibile soprattutto perché il rispetto della competenza (grazie grillini, No vax e feccia varia) è ormai ridotto a niente. E in questo la famigerata “orizzontalizzazione” delle conoscenze grazie alla quale qualsiasi semi alfabeta che entra in un social si ritiene esperto come un primario o un docente di fisica ha provocato danni che solo l’IA potrà forse peggiorare. E’ possibile perché il rispetto concettuale, prima che formale, del ruolo educativo, dell’adulto che trasmette un sapere, è ai minimi storici da decenni. E in questo una colpa enorme è della politica: la scuola trascurata e ridotta a sussidio di disoccupazione sottopagato trasmette l’idea ai genitori che quello sia un lavoro da sguatter*. E i figli questo interiorizzano. Serviranno regole più stringenti. Ma non basteranno

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  • Maurizio Crippa
  • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

    E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"