Danni del terremoto in Giappone - foto Ansa

guardando all'italia

Terremoti e tsunami: sulla ricostruzione prendere spunto dal Giappone

Giulio Boccaletti

L'esperienza di Fukushima del 2011 ha guidato il paese asiatico a sviluppare una sensibilità elevata per la sicurezza delle coste: una rapida risposta governativa, con allarmi tsunami ed evacuazioni efficaci, è una lezione preziosa anche per noi

Una forte sequenza di terremoti ha colpito il Giappone. Al di là del cordoglio per le vittime, cosa possiamo imparare da questo evento? In termini di risposta emergenziale, il Giappone ha una storia esemplare. Un po’ come la nostra Protezione civile, si mobilita rapidamente. La cultura del rischio – il sapere cosa fare e chi ascoltare nel momento del bisogno – è una delle discriminanti più importanti nel minimizzare il numero delle vittime. In Giappone è diffusa, dalle scuole ai posti di lavoro, e questo rende la gestione emergenziale più efficace. In Giappone, dove gran parte della popolazione vive in strette piane costiere, il rischio dei terremoti è fortemente amplificato dal rischio tsunami. Quando un terremoto colpisce, sotto certe condizioni, dà un colpo alla superficie dell’oceano, sollecitando un’onda che si propaga a una velocità proporzionale alla profondità della colonna d’acqua. Quando l’onda si avvicina alla costa, la profondità della colonna diminuisce, e il fronte dell’onda rallenta. Dietro, la coda che si trova in acque più profonde continua a viaggiare, con il risultato che l’acqua accumula sul fronte, alzandone la cresta.

Questo fu il grosso problema ai tempi di Fukushima. Quando l’11 marzo del 2011 un terremoto colpì il Pacifico, l’epicentro era sull’altra costa e più al largo di quello di oggi. Il terremoto fu anche molto più potente: registrò 9 sulla scala Richter, il quinto più forte della storia e quasi due ordini di grandezza più potente di quello di oggi.

L’onda generata dal terremoto, che al largo fu di pochi centimetri, su una colonna profonda viaggiò come uno Shinkansen, il treno ad alta velocità del Giappone. Avvicinandosi alla costa l’onda rallentò e crebbe. L’acqua sommerse la costa e si infiltrò verso l’alto lungo fiumi e canali che normalmente drenano il territorio verso il mare. Nelle piane di Sendai si arrampicò fino a 40 metri, il punto più alto mai raggiunto da un’onda simile. Il risultato fu un disastro epocale. Alla centrale nucleare di Fukushima, gli argini costieri erano stati sotto dimensionati per un evento del genere.  Erano alti 6 metri. Furono sopraffatti dall’onda. Una volta passata l’acqua, gli argini che dovevano proteggere l’impianto divennero il principale ostacolo al deflusso. Intrappolata come in una grande piscina, l’acqua di mare invase i sotterranei della centrale. Lì si trovavano i generatori diesel, essenziali per pompare acqua e raffreddare i reattori. Col senno di poi ci si rese conto di un errore di progettazione importante: i generatori non erano stagni. Con i sotterranei allagati, i generatori smisero di funzionare. Fu decretato lo stato di emergenza e il resto è storia. Nei successivi tre giorni, oltre alle 15 mila vittime spazzate via dall’inondazione, tre milioni di giapponesi si ritrovarono senza elettricità e un milione senza acqua e servizi sanitari, una situazione che durò alcune settimane. Alla fine, il sisma e lo tsunami provocarono danni per oltre 200 miliardi di euro. L’evento che abbiamo appena visto è di dimensioni molto minori, ma capite bene che dall’esperienza del 2011 il governo giapponese ha sviluppato una sensibilità molto alta per la sicurezza delle proprie coste. Infatti avrete notato che tra gli allarmi più evidenti nelle prime ore successive al terremoto di oggi c’è stato l’allarme tsunami, che ha portato all’evacuazione verso l’alto della popolazione. 

Le emergenze sono sempre diverse. Il rischio non può mai essere del tutto eliminato. Ma si può sempre imparare e migliorare dal passato. Questo hanno fatto in Giappone e questo abbiamo visto in queste ore. Qui non abbiamo molto da imparare. È ciò che ha dimostrato anche la nostra Protezione civile quando ha preventivamente evacuato 40 mila persone in Romagna, evitando una catastrofe che anni fa avrebbe fatto ben più vittime. Sappiamo imparare anche noi dal passato, nella gestione delle emergenze.

Ma c’è un altro tema importante da tenere sott’occhio nei giorni che verranno. L’efficacia della ricostruzione. E su quello i nostri amici giapponesi operano con una rapidità ed efficacia che noi ancora non riusciamo a eguagliare e dalla quale possiamo imparare. Nel 2012, dopo il disastro di Fukushima, andai in Giappone quando la Banca mondiale spostò la sua riunione annuale dal Cairo a Tokyo, in parte come segno di solidarietà con il Giappone, in parte per evitare le proteste della Primavera araba. Durante il convegno, i padroni di casa offrirono visite ai siti impattati dalla catastrofe. Ricordo lo stupore dei visitatori: un anno dopo non si vedeva più nulla. Gran parte della ricostruzione era stata completata. Saper ripartire è importante, tanto quanto gestire l’emergenza. Mentre esprimiamo vicinanza ai nostri amici giapponesi, osserviamone anche il comportamento nelle prossime settimane. Con gran parte della Romagna ancora da ricostruire, vale la pena interrogarsi su quali altre lezioni possiamo trarre dal passato per migliorare la nostra efficacia in futuro.

 

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