Getty Images

(1942-2023)

Con Schäuble la storia sarà molto più generosa della cronaca

Carlo Stagnaro

Tutti lo ricordano come l’uomo dell’austerity, l'inflessibile ministro delle Finanze che aveva fatto dello stato di salute dei conti pubblici la stella polare della politica economica tedesca ed europea. Odiato e incompreso, ma senza di lui l’Europa di oggi sarebbe impensabile

Mercoledì 27 dicembre, dopo una lunga malattia, è morto Wolfgang Schäuble. L’ultimo suo incarico politico era stato quello di presidente del Bundestag, ma tutti lo ricordano come l’uomo dell’austerity, il potente e inflessibile ministro delle Finanze che, dal 2009 al 2017, aveva fatto dello stato di salute dei conti pubblici la stella polare della politica economica tedesca ed europea. Per questo è stato molto odiato e incompreso. Eppure, senza Schäuble l’Europa di oggi è impensabile. 

   

    

Nato nel 1942, dopo gli studi in giurisprudenza si dedica all’avvocatura, ma ben presto sceglie la politica come professione. A trent’anni, nel 1972, Schäuble viene eletto per la prima volta al Bundestag, dove resterà deputato fino alla sua morte. Dagli anni Ottanta  è sempre al centro della scena politica tedesca, occupando una serie di posizioni parlamentari e governative. Da ministro dell’Interno, nel 1990, definisce il contratto di adesione tra la Germania dell’Est e dell’Ovest.  Il 12 ottobre dello stesso anno cade vittima di un attentato, che lo costringe per il resto della vita sulla sedia a rotelle e i cui effetti contribuiranno a sbarrargli la strada verso il cancellierato. 

    
Durante la crisi economico-finanziaria, da ministro delle Finanze di Angela Merkel, si pone tre obiettivi: garantire la sostenibilità delle finanze pubbliche tedesche, proteggere la stabilità delle finanze pubbliche degli altri stati europei, ed evitare che le misure emergenziali finiscano per travolgere le fondamenta delle istituzioni comuni. Per comprendere le sue posizioni, bisogna ripercorrerne il pensiero.

   
E già questo è un elemento importante: Schäuble non era un politico di quelli che seguono l’opinione pubblica o che oscillano a ogni stormir di sondaggi. Era un uomo profondo, che aveva maturato nel tempo opinioni articolate sia sulla situazione concreta del suo paese e dell’Europa, sia su quelli che avrebbero dovuto essere i caposaldi di una costruzione solida e capace di resistere alle intemperie. 

  
Come testimoniano i suoi discorsi raccolti in un volume a cura di Christina Cramer e pubblicato dall’editore genovese “Il Canneto”, il suo percorso è quello, lineare e limpido, dell’erede di Ludwig Erhard, Alfred Müller Armack e Wilhelm Röpke. “L’economia sociale di mercato – dice nel 2017 – è una disciplina in continua tensione tra libertà, concorrenza e mercato da una parte, equilibrio e sicurezza sociale dall’altro”. Non è un dottrinario: è un uomo pratico, e come tale guarda al risultato più che alla purezza. Ciò nonostante, sa cogliere perfettamente – e declinare in azione politica – la differenza tra il compromesso pragmatico e il cedimento sui principi, a cui non si abbandona neppure nei momenti più difficili. In questo contesto, Schäuble è convinto che la crescita, e quindi il benessere dei tedeschi e degli europei, abbia la sua premessa irrinunciabile nella stabilità: dei prezzi (quindi lotta all’inflazione) e dei conti pubblici (quindi lotta alla spesa irresponsabile). Da giurista esperto di contratti, il suo approccio si basa sull’idea che le regole prime si negoziano, ma poi si applicano: nulla è più distruttivo, nel lungo termine, del lasciar intendere che gli accordi possono essere continuamente rimodellati secondo le convenienze. 


Ecco allora il senso della sua durezza nei confronti dei paesi in crisi col debito pubblico, e in particolare la Grecia, che lui avrebbe preferito vedere uscire o almeno sospendere dall’euro in una sorta di esperimento controllato: “Non si tratta solo della Grecia ma anche dell’Europa. L’elemento essenziale è che per questa Unione monetaria dobbiamo costruire strutture europee che siano degne di fiducia nel lungo periodo e che siano efficienti”. 


Va letto in questi termini anche il suo scontro sotterraneo con Mario Draghi, all’epoca presidente della Bce. Per formazione e per convinzione, Schäuble non poteva che essere ostile al concetto stesso del “whatever it takes” (pur mitigato dalla precisazione “all’interno del nostro mandato”). Draghi era certo che, se non si fosse comprato tempo con politiche monetarie non convenzionali, l’Europa avrebbe potuto collassare. Ma la preoccupazione di Schäuble si rivelò tutt’altro che infondata: egli temeva che il tempo sarebbe infine stato sprecato, non evitando ma semplicemente rimandando la resa dei conti. E la storia successiva gli dà almeno in parte ragione: se i paesi che si assoggettarono a condizionalità più strette, come la Grecia, la Spagna, il Portogallo e l’Irlanda, si cavarono d’impaccio, l’Italia non seppe approfittarne e anzi sprecò in larga parte l’opportunità. Di deroga in deroga – dieci anni di quantitative easing, sospensione Covid del patto di stabilità, spese straordinarie per la pandemia e poi per la crisi energetica – il debito italiano si è fatto viepiù insostenibile. 


Schäuble venne trattato da menagramo perché metteva in guardia contro un rischio che molti si rifiutavano di vedere. La storia gli darà tutti i meriti che la cronaca gli ha negato.