(foto di Ouael Ben Salah su Unsplash)

Il Foglio Weekend

Milano a mano armata, arriva il prefetto Gabrielli

Michele Masneri

Tra scippi, baby  gang, borseggiatori e ammazzamenti di ciclisti, la città vive la sua fase di incertezza. Un po’ reale e un po’ percepita

Dopo quella dell’arroganza e quella della penitenza adesso Milano entra nella fase dell’insicurezza. Se vogliamo suddividere in tre fasi la cavalcata post Expo della metropoli lombarda, ecco che la prima, quella dell’ambizioso rilancio e della “ubris”, è stata succeduta da quella della riflessione col Covid  (con la città che si scoprì – orrore – inefficiente nella gestione della pandemia e seconda persino a Roma). Infine, ora, il nuovo tema del rischio. Furti, scippi, rapine e baby gang, morti ammazzati in bici; una cavalcata culminata nell’arrivo – fatto abbastanza inusuale – di un consulente straordinario per la sicurezza nella persona di Franco Gabrielli. Già prefetto di Roma, capo dei servizi segreti, della Polizia e sottosegretario all’Interno nel governo Draghi, fresco di pensione (e a Milano non prenderà un euro per il suo nuovo ruolo), Gabrielli avrà il ruolo di  “delegato del sindaco per la sicurezza e la coesione sociale”. “Il corteggiamento è iniziato agli inizi di luglio”, scrive il Corriere, e Gabrielli ha subito precisato: “Milano non è Gotham City” (la città notturna di Batman è  il paragone più frequente tra chi asserisce che il capoluogo lombardo sia diventato ormai pericolosissimo).
 
 
Spesso la differenza la fa l’aspettativa”, ha detto anche Gabrielli, che sarà probabilmente uno sceriffo senza pistola, più che altro un simbolo, per tranquillizzare gli animi. Perché il  tema centrale è proprio  questo. Qual è la percezione e qual è la realtà? Perché ad ascoltare certi articoli o blog o profili Instagram ci sarebbe da uscire per strada armati di mitra, Milano come Caracas, altro che Gotham. I dati sono di un’ambiguità scintillante: da una parte secondo l’Istat Milano ha il primato italiano di reati pro capite: il capoluogo lombardo registra 5.985 reati all’anno ogni 100.000 abitanti, battendo in classifica Rimini e Torino (seconda e terza in classifica), nonché città come Roma, Napoli e Palermo. Ma se sposti la visuale, quasi tutti i reati commessi in città diminuiscono da anni: rispetto al 2017, oggi i crimini  sono circa il 17 per cento in meno. Milano è prima in Italia per densità di furti con destrezza e furti nei negozi, seconda per rapine e furti con strappo, dodicesima per percosse. Nel 2021 sono stati denunciati circa 95.300 furti, 3.350 rapine e 1.800 lesioni dolose.


Dati a parte, in generale serpeggia una sensazione di insicurezza, soprattutto in certi posti. A partire dalla stazione Centrale. Affacciandoti e prendendo un treno ieri, venerdì, le guardie giurate inseguivano due ragazzine che scavalcano i varchi per entrare nell’area binari. Saranno borseggiatrici? O semplicemente due che volevano prendere un treno senza biglietto? Il tema delle borseggiatrici è quello più clamoroso dopo che il profilo instagram Milano Bella Da Dio è ormai diventato “un classico” mettendo online video di queste squadre di ragazze che assaliscono a branchi i poveri turisti e cittadini. “Attenzione borseggiatrici”, urla il responsabile del sito, Giovanni Santarelli, mettendole in fuga (in favore di telefonino). Il profilo instagram mostra anche altre facce del degrado ma quella delle borseggiatrici è la più celebre, e ha creato un altro caso mediatico, quello di “Attenzione pickpockets” che spopola su TikTok, però ambientato a Venezia. 


 
Poi ci sono i furti degli orologi: è tutto un continuo denunciare  l’asportazione di cronografi dai prezzi mostruosi. Carlos Sainz, pilota della Ferrari, appena terminato il gran premio di Monza, è stato derubato davanti all’Armani Hotel del suo “cronografo da mezzo milione di euro, un Richard Mille modello Alexander Zverev”, racconta il Giorno. “Il pilota non si perde d’animo, insegue i suoi rapinatori, tutti giovanissimi e di nazionalità marocchina, li insegue prima in auto e successivamente a piedi aiutato dall’assistente e da alcuni passanti, che hanno subito riconosciuto il pilota, anche grazie alla maglietta rossa del Cavallino rampante che indossava, e lo hanno aiutato a recuperare l’orologio. L’inseguimento si è concluso in via Montenapoleone: lì il ventinovenne e altre persone sono riusciti a bloccare i rapinatori – tre marocchini fra i 18 e i 20 anni – e a recuperare il prezioso bottino”. Insomma sembra di essere tornati a quelle atmosfere della mala milanese, i poliziotteschi partiti da “Banditi a Milano” (1968) e poi declinati nelle varie “Milano calibro 9” (1972); “Milano trema; la polizia vuole giustizia” (1973).  Ma qui non ci sono sparatorie e armi da fuoco, niente rapimenti e sequestri. E’ tutto piccolo cabotaggio, che però fa gran rumore. 

 

 Bobo Vieri è stato vittima del classico “foglio” (niente a che vedere con questo giornale, è un trucco, che anche va fortissimo su “Milano Bella Da Dio”: il lestofante piazza un foglietto bianchi sui tavolini esterni dei locali, distrae i commensali con una richiesta di informazioni e poi si allontana con lo smartphone del malcapitato, avvolto nel foglietto). Vieri e la moglie Costanza Caracciolo, a cena in un ristorante, si sono subito accorti e hanno sventato il furto sul nascere. Poi il messaggio via social: “attenzione. A Milano bisogna stare attenti”. 
 


Le vittime di scippi e furti sono molteplici ed eccellenti. Mario Boselli, presidente della fondazione Italia Cina ed ex presidente della Camera della Moda, ha denunciato di essere stato aggredito e rapinato lungo i Bastioni di Porta Venezia, da un giovane che gli ha strappato una collana d’oro. “Ho denunciato e scritto al questore, con in copia prefetto e sindaco”. E già Chiara Ferragni l’anno scorso era stata protagonista di un duro attacco al sindaco Sala: “Sono angosciata e amareggiata dalla violenza che continua a esserci a Milano. Ogni giorno ho conoscenti e cari che vengono rapinati in casa, piccoli negozi al dettaglio di quartiere che vengono svuotati dell’incasso giornaliero, persone fermate per strada con armi e derubate di tutto. La situazione è fuori controllo. Per noi e i nostri figli abbiamo bisogno di fare qualcosa. Mi appello al nostro sindaco Beppe Sala”.
 
 
Subito il leader della Lega Matteo Salvini aveva rilanciato l’appello ferragnesco, scrivendo che “l’incessante problema della sicurezza a Milano è ormai sotto gli occhi di tutti”. E non c’è dubbio che il tema della sicurezza sia importante anche per chi pensa alle prossime elezioni comunali; Beppe Sala non si può più ricandidare e  la città è contendibile.  C’è anche il fatto che la sicurezza, a parte la polizia urbana, non sta in capo al sindaco ma al ministero dell’Interno, quindi le critiche a Sala lasciano il tempo che trovano.


 
Ma di nuovo, qual è la realtà e qual è la percezione? “Su alcune questioni la percezione è sicuramente esagerata, spinta anche da siti come Milano Bella da Dio che enfatizzano furti e borseggi” dice al Foglio Michele Albiani, consigliere comunale e presidente della Commissione sicurezza di palazzo Marino. Albiani da mesi combatte la sua battaglia contro i profili Instagram che “enfatizzano le questioni in cerca di like o di quindici secondi di celebrità. E’ chiaro che se uno piazza online questi furti, che si ripetono continuamente nel feed dei social, la percezione sarà di una città fuori controllo. Ma in tante situazioni invece di filmare si potrebbe aiutare a mettere in fuga i ladri e la situazione si risolverebbe”.   “Per quanto riguarda invece Porta Venezia credo che sia reale la sensazione di insicurezza. Si tratta soprattutto di piccoli scippi, aggressioni, furti di catenine, che avvengono a tarda notte fuori dai locali. Il sindaco ha già varato un’ordinanza che prevede la chiusura anticipata dei locali, a cui io sono contrario”. E la polizia? “Il problema è che questi reati avvengono soprattutto di notte e nei fine settimana mentre il commissariato di zona nel fine settimana è chiuso, e i controlli spesso li fanno magari alle sette di sera”. Vuol dire che c’è qualcuno che specula sulla sensazione di insicurezza? “No, voglio dire che si potrebbe fare di più”.
 
 
Di nuovo, qual è la realtà e quale la percezione? “Direi che abbiamo a che fare con tre aspetti”, dice al Foglio  Bertram Niessen, PhD in Urban european studies all’università di Miano-Bicocca, Presidente e direttore scientifico di cheFare. “Per primo un aumento delle disuguaglianze, che è esploso col Covid. Una classe media sempre più compressa tra i più benestanti e i più poveri con un’esacerbazione delle differenze, tra homeless ecc., cosa che non avviene solo a Milano ma in tutte le città.  Secondo, la città è sempre più sottoposta a un ‘utilizzo’ da parte di ‘city user’ che vanno in giro con orologi da centomila euro, e che attirano squadre di ladri specializzati pendolari che arrivano da molto lontano”. Spesso, poi, le vittime dei furti sono note o comunque hanno modo di raccontare almeno via social i loro guai, cosicché la cosa si autoalimenta. Così, “terzo, c’è l’estrema notiziabilità dei reati”.

 
“E’ come se la mediatizzazione e la brandizzazione di tutto ciò che passa per la città avesse creato questo secondo livello, questo lato oscuro del desiderio”, dice al Foglio Davide Giannella, curatore d’arte indipendente attento ai fenomeni urbani. Ognuno ha il diritto naturalmente di andare in giro con orologi da ottantamila euro, ma tutta questa appariscenza, tutta questa esibizione è chiaro che risveglino altri livelli di desiderio. “Se Milano è passata dal rito ambrosiano al rito trapper, è chiaro che qualcosa cambia”. 


In effetti, lo scintillio delle merci e dei consumi è ovunque. Se si passa da piazza Liberty, una piazza diventata Apple store tra cascate di cristallo e managerini che escono brandendo il loro nuovo telefono da 1.200 euro, se basta aprire il suddetto iPhone per vedere stories su stories di influencer anche semisconosciuti che raccontano per immagini feste, inaugurazioni, cene a casa con personal chef, chi non ha accesso a tutto questo splendore e non ha tante remore morali magari cercherà un sistema non ortodosso per prendersi la sua fetta della nuova Milano arrembante. Se Milano è – nell’immaginario instagrammatico – popolata solo da calciatori piloti e influencer che passano da una inaugurazione a un “fit check” a un cocktail,  se l’iscrizione alla palestra “dei calciatori” Ceresio 7 (zona Arco della Pace) parte da 270 euro al mese, se a Milano è il trionfo dei nuovi club per ricchi –  Casa Cipriani, coi suoi valletti con cilindro e frac che attendono sulla strada in porta Venezia e iscrizione che parte da 2000 euro all’anno, ma anche “The core”, in corso Matteotti, quota di iscrizione diecimila, e poi tanti altri, hotel a sette stelle e macchine fuoriserie in verniciatura speciale “matt” -  qui mica si vuol fare populismo ma è chiaro che se proprio devi delinquere investirai più volentieri in una trasferta a Milano che non a Pescara o a Roma dove tra impiegati pubblici e disoccupati iscritti al Centro sperimentale di cinematografia un cacciatore di orologi raccatterebbe al massimo degli Swatch. Poi, a Milano, se ci mettiamo sempre nella testa e nella percezione matta di uno svalvolato qualunque, pascolano e allignano personaggi che magnificano il loro stile di vita sibaritico apparentemente fondato sul nulla. Se tutti compulsiamo   gli attici da cinque milioni di euro della Zampetti Immobiliare, se nuovi idoli tiktokisti del real estate offrono penthouse con jacuzzi sul tetto, se l’influencer o trapper o stilista  magari con la terza media esibisce i miliardi (percepiti), penserà il delinquentello pazzotico, perché non lo posso fare pure io? Chi di maranza ferisce, di maranza perisce.
 
Prendendo la linea rossa, la sera, lasciando il centro sfavillante e la nuova San Babila nuova di zecca nella piazza candida, nella metro ti rendi conto di un apartheid visibile; africani, sudamericani, asiatici che se ne tornano nelle loro periferie. Sono i poveri, razza che la Milano “di sopra” tende a cancellare.  Ci sono sempre stati, così come i ricchi, ma  forse all’epoca dei Pirelli e dei Falck la ricchezza milanese era meno esibita oltre che costruita in generazioni e tenuta ben nascosta dietro i muri delle ville e dei palazzi di Corso Venezia. Ma oggi, appunto, che Milano è capitale non solo della gomma e dell’acciaio ma anche di Instagram, questa ricchezza improvvisa e gioiosa e lasciata percolare sugli smartphone di tutti, nella fiera dell’oggetto e della vacanza, del “gifted” e dell’“adv”, essere poveri è ancora più difficile. Forse, penseranno i meno attrezzati, solo i fessi sono poveri a Milano.


Così domenica 24 settembre ecco che otto ragazzi ventenni che vengon da fuori per vedere la "fashion week" vengono sequestrati e ripuliti di tutto da una banda di quattro incappucciati nella villetta in periferia che han preso in affitto su AirBnB: la polizia arriva e li arresta tutti. In giugno, in via Paolo Sarpi, la cosiddetta “Chinatown”,  due minorenni, uno di 15 e uno di 16, hanno rapinato un minimarket. Hanno il volto coperto da passamontagna, guanti in lattice, uno ha una pistola in pugno: insieme hanno minacciato e rapinato il titolare degli 800 euro d’incasso. Si è scoperto che son figli di manager stranieri che vivono e lavorano in città e frequentano importanti scuole internazionali. In questo caso, davvero si è tornati ai poliziotteschi (e non c’è neanche la povertà di mezzo). 


 
“Ma non ci sono solo i furti. L’insicurezza a Milano è percepita su vari fronti”, dice sempre Giannella. “Sociale (farò parte anche io della grande festa che a Milano, sempre su base percepita, avviene ogni giorno? Sarò in grado di aver accesso a tutte le mille opportunità che la città offre? E poi anche logistica e di genere”). Un primato, quello sì che terrorizza tutti, è quello dei ciclisti ammazzati, in una città che pensava di aver trovato un modo, date anche le sue piccole dimensioni, di regolare i suoi trasporti in maniera ecologica e pratica. E poi l’insicurezza di genere.  Ancora si ricorda il capodanno del 2022, quando sul sagrato del duomo si scatenò una specie di sabba della molestia in cui diverse ragazze vennero abusate a vari livelli da gruppi di giovani stranieri.  L’insicurezza delle donne a Milano è un fatto. Le ricercatrici Florencia Andreola e Azzurra Muzzonigro hanno scritto un libro, “Libere non coraggiose. Le donne e la paura nello spazio pubblico”  di prossima pubblicazione (Lettera22) che tratta proprio di questo, dopo essersi già occupate della questione nel “Milano Gender Atlas”. Ne  emerge che il capoluogo lombardo, che si conferma capitale produttiva del paese, lo è anche per  pericolosità per le donne: di notte a Milano quasi il 50 per cento delle donne dichiara di sentirsi in pericolo, contro il 15,6 per cento degli uomini. Il 14,5 per cento delle donne la considera una città pericolosa, contro solo il 9,6 per cento degli uomini. I luoghi milanesi più pericolosi e fonti di disagio per il pubblico femminile sono le stazioni e i passanti ferroviari, in particolare la Centrale, e poi Garibaldi e Rogoredo. E poi la linea del filobus 90/91 “Poi sono percepite come pericolose anche via Padova, via Arquà, e stranamente anche Corso Como”, dice al Foglio Florencia Andreola, cioè la via degli aperitivi fighetti. Anche qui, reale e percepito si accavallano.

 


L’insicurezza poi genera isteria. Quando qualcuno quest’estate è salito fin sopra la Galleria Vittorio Emanuele per sporcacciarla con alcune scritte,  è scattata una reazione come se fosse stata rapita la Madonnina, o sequestrata Miuccia Prada. In un nanosecondo il sindaco ha mandato su delle squadre speciali a pulire, e la popolazione è insorta. “Pensiamo se fossero stati dei terroristi!”. Anche tra le persone normali, non influencer, serpeggia l’inquietudine. Se chiedi in giro, senti tutte delle storie che sembrano confermare il livello di panico. C'è quello che ha seguito il proprio telefono rubato fino allo sprofondo, grazie alla funzione “trova il mio iPhone”. C'è l'abitante del quartiere gentrificato e riflessivo di NoLo (North of Loreto) che si è visto recapitare una comunicazione in cui si richiede ai condòmini di fare attenzione a certi giri anche “etnici” che si vedono sulle scale (e la notazione “etnici” ha fatto sobbalzare gli animi sensibili). C’è lo stralunato abitante del palazzo “in” Brera che racconta che in assemblea di condominio viene comunicato che una nuova famigliola affluente appena installata avrà una sua sicurezza privata per i figli che fanno la Bocconi. Ed è un palazzo benestante, professionisti, non sceicchi. Sembra quell’episodio di “Di che segno sei” in cui Alberto Sordi fa la guardia del corpo a Milano, in una Milano in cui sequestrano in continuazione i “cumenda” e tutti vogliono un “gorilla”. Adesso più che il gorilla è arrivato lo sceriffo, e vedremo come andrà a finire.

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  • Michele Masneri
  • Michele Masneri (1974) è nato a Brescia e vive prevalentemente a Roma. Scrive di cultura, design e altro sul Foglio. I suoi ultimi libri sono “Steve Jobs non abita più qui”, una raccolta di reportage dalla Silicon Valley e dalla California nell’èra Trump (Adelphi, 2020) e il saggio-biografia “Stile Alberto”, attorno alla figura di Alberto Arbasino, per Quodlibet (2021).