(foto Ansa)

(1935-2022)

Lando Buzzanca era tutt'altro che "un attore di serie B"

Maurizio Stefanini

È morto all'età di 87 anni. Il suo nome era associato principalmente alla commedia sexy all'italiana. Ma ha recitato in più di 100 film, e il suo successo ha attraversato decenni di cinema e tv

Ci sono ben due fumetti e mezzo che negli anni ’70 furono ispirati a Lando Buzzanca: all’anagrafe Gerlando Buzzanca, nato a Palermo il 24 agosto 1935, e morto a Roma domenica 18 dicembre. Il più dichiarato “Il montatore”: fumetto comico-erotico che era la trasposizione del personaggio interpretato in “Il Sindacalista”, film di Luciano Salce nel 1972. Ebbe perfino una versione spagnola, solo che lì l’operaio campione di lotta di classe e sciupafemmine era socialista, invece che comunista come nell’originale. Di spirito simile era Lando, che pure citava il suo nome e il tipo di ruoli per cui era diventato famoso al cinema, anche se poi la faccia era quella di Adriano Celentano. E Lando Buzzanca era pure Giovanni Loganetti alias Johnny Logan: una specie di super-uomo fai da te alla testa di una organizzazione di cacciatori di taglie milanesi, in una serie uscita tra 1972 e 1977.

Cose minori, se vogliamo. Ma che danno l’idea di quanto fosse diventato popolare il personaggio identificato in classici della commedia sexy all'italiana che però facevano anche satira di costume come “Homo eroticus”, “Il merlo maschio”, “Nonostante le apparenze... e purché la nazione non lo sappia... All'onorevole piacciono le donne”, “L'arbitro”, “San Pasquale Baylonne protettore delle donne”. E non senza incursioni frequenti in film in costume che in realtà gli facevano svolgere lo stesso ruolo, ma in epoche storiche tra le più disparate: dalla Preistoria di “Quando le donne avevano la coda” al Medio Evo di “Jus primae noctis” o al Rinascimento di “La Calandria”. Al suo fianco attrici come Claudia Cardinale, Catherine Spaak, Barbara Bouchet, Senta Berger, Joan Collins.

 

Ma di film in tutto Buzzanca ne ha interpretati ben 110, tra 1959 e 2017. In tv ha fatto 23 sceneggiati, 5 commedie e 10 varietà. Ed ha pure inciso 4 dischi. La sua immagine iconica è appunto quella un po’ approssimativa del supermaschio italiano delle pellicole anni ’70, ossessionato dal sesso e un po’ sciocco. Ma in realtà era un attore con formazione solida, per radici familiari. Attore era stato lo zio Gino e anche il padre Empedocle, dopo aver fatto il proiezionista. A Roma era andato a 17 anni a frequentare corsi di recitazione all'Accademia Sharoff, di cui sarebbe divenuto poi presidente onorario. “Fin dall'inizio ho sempre scelto, ho sempre voluto fare l'attore”. Ha raccontato. “Anche quando non ero nessuno ed ero al verde. Avevo 500 mila lire in tasca che mi aveva dato di nascosto mia madre, ma sono finiti in fretta, ho dormito per strada, ho mangiato alla Caritas, volevo fare il cinema, facevo piccole comparsate, ma sapevo che non bastava”. Confessò di aver fatto anche il gigolo per mantenersi, oltre che il cameriere.

Comparsa a 24 anni nel kolossal “Ben-Hur” come schiavo in una galea, a 26 anni fece il suo esordio ufficiale con Pietro Germi, che gli diede il ruolo di Rosario Mulè in “Divorzio all'italiana”, e poi due anni dopo quello di Antonio in “Sedotta e abbandonata”. A 32 anni fu pure protagonista di “Don Giovanni in Sicilia” di Alberto Lattuada. E a 72 dei “Vicerè” di Roberto Faenza, per cui ebbe la candidatura al David di Donatello come migliore attore protagonista e il Globo d'oro come miglior attore.

 

Epocale fu anche nel 1970 la sua interpretazione del marito di Delia Scala in “Signore e signora”: un varietà in sette puntate sulle vicende di una coppia di coniugi, che di fatto fu la prima sit com italiana, anche se la parola ancora non si usava. La sua battuta “mi vien che ridere” rimarrà un tormentone ricordato e ripetuto dal pubblico per anni. Fu un grandissimo successo però dagli esiti ambigui, perché appunto gli facilitò il decollo in quel ruolo anni ’70 che gli diede la popolarità ricordata, ma lo condannò per gran parte della critica a una immagine di “attore di serie B” di cui soffrì. A un certo punto disse anche di essere stato boicottato in quando di destra. Probabilmente per questo negli anni ’80 decise di lasciare il mondo della commedia sexy all'italiana. Per un po’ sarà protagonista in radio di Gran varietà con il grottesco “Buzzanco”, erede del personaggio televisivo inventato per la serie Signore e signora. Poi si darà al teatro, e nel 2005 otterrà in tv il grande successo della fiction “Mio figlio”, nel ruolo del padre di un ragazzo omosessuale.

Alcuni successi tv degli anni successivi culminano nella serie del 2012 “Il restauratore”. Ma nel 2013 un tentativo di suicidio rivela il suo crescente disagio per la vecchiaia, accentuato con la morte della moglie, con cui era stato sposato per 57 anni. Riesce comunque ancora ad apparire al cinema e in tv fino al 2019. Negli ultimi anni era finito nelle cronache per scontri tra il figlio e una fidanzata giovane, da ultimo era stato ricoverato in una Rsa. È morto dopo la rottura di un femore per una caduta.

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