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i dati

Il crollo demografico si è fermato?

Roberto Volpi

Matrimoni, nascite e movimenti migratori in controtendenza positiva. Come interpretare i tre piccoli segnali 

Ma sarà poi vero che tre indizi hanno il valore di una prova? Il fatto è che proprio tre indizi è ciò che abbiamo in questo 2022 che volge alla fine e del quale conosciamo dati demografici che si spingono fino ad agosto 2022 (vogliamo un’eccellenza italiana? Eccola: il sito delle statistiche demografiche dell’Istat è un campione di tempestività, accuratezza, facilità di consultazione). Ma tre indizi di cosa, intanto? Del possibile rallentamento della velocità di crisi della popolazione italiana nella sua discesa quantitativa e pure, conseguentemente, anche qualitativa. Tanta roba, se davvero costituissero una prova. Vedremo.

 

Tutte le variabili che contano dal punto di vista demografico – i matrimoni, le nascite, i movimenti migratori – sembrano portare una boccata di ossigeno insperata alla peggio che boccheggiante e asfittica struttura demografica del paese: vecchia, pochissimo vitale, in disarmo. Che però potrebbe dimostrarsi più reattiva di quanto non ci aspetteremmo in base a tutti o quasi gli indicatori dell’ultima dozzina d’anni: un mezzo disastro, per voler peccare di ottimismo. Un mezzo disastro che fa dire alla Population Division che arriveremo a malapena a 37 milioni di abitanti per la fine del secolo – perdendo 22 milioni e il 40 per cento della popolazione odierna – con un potenziale di nascite, visto il crollo ancora più vertiginoso delle donne in età feconda, ridotto al lumicino e dunque una popolazione, e un paese al seguito, impossibilitati a rialzarsi. 

 

In ogni caso, non bastano alcuni mesi con risultati meno disprezzabili rispetto alle attese  per invertire il trend

  

Bastano sette-otto mesi del 2022 con risultati meno disprezzabili di quel che ci saremmo aspettati – e che date le premesse era lecito aspettarsi – per far rinascere una qualche fiducia su quel che ci attende su questo fronte così decisivo? No. Parlare di fiducia rinnovata sul futuro sarebbe un azzardo troppo grande. Diciamo allora: nel quadro disperante si è aperto un sottile squarcio che lascia filtrare un minimo chiarore. Che potrebbe rimarginarsi e morire, ma anche allargarsi e fiorire. Ed ecco perché tutto sommato tre indizi non fanno una prova: perché lasciano tutto in sospeso. Sospeso, però. Non definito. Non chiuso. Ma allora, non sarà che tre indizi più che non una prova facciano, più modestamente, una possibilità? Eccoli. Ciascuno potrà giudicare.

 

Primo indizio. I matrimoni. Nel periodo gennaio-luglio 2022 sono aumentati di 13.142 e del 14,4 per cento rispetto allo stesso periodo del 2021. Aumentano pressoché nella stessa proporzione tanto i matrimoni civili che, elemento ancora più confortante, quelli con rito religioso, che ci avevano da tanti anni ormai abituati a quella che credevamo un’inarrestabile caduta verso il punto zero del matrimonio religioso. La ripresa dei matrimoni religiosi che (a) uniscono pressoché al cento per cento celibi e nubili (b) ovvero coniugi di più giovane età e (c) con davanti una unione mediamente più lunga rispetto ad altre forme di unione, è particolarmente positiva per una ripresa della natalità.

 

Secondo indizio. Le nascite. Indizio meno chiaro, se vogliamo, ma abbastanza consistente. Meno chiaro: le nascite nel periodo gennaio-agosto del 2022 diminuiscono di 3.953 e dell’1,5 per cento rispetto alle nascite dello stesso periodo del 2021, scostamento misurato ma pur sempre, considerando che le nascite del 2021 rappresentano le minori nascite di sempre nella storia d’Italia, scostamento in meno. Ma nei primi cinque mesi dell’anno le nascite erano diminuite di 6.212 unità e del 4 per cento rispetto ai primi cinque mesi del 2021. Nei mesi di giugno, luglio e agosto si è dunque assistito a un recupero e, quel che più conta, ed ecco la almeno relativa consistenza dell’indizio, a tre aumenti mensili consecutivi delle nascite del 2022 rispetto al 2021. Tre (ancora tre, come gli indizi) aumenti mensili consecutivi delle nascite meritano una sottolineatura, lasciano pensare che non si tratti di una pura oscillazione casuale.

 

Terzo indizio. Il saldo del movimento migratorio. Premessa: c’è concordanza tra gli esperti, all’Italia servirebbe un saldo migratorio positivo annuo di almeno 200-250 mila unità per compensare consistentemente uno sbilanciamento nascite-morti ch’è già oltre le 300 mila unità annue e che potrebbe spingersi fino a 400 mila abitanti in meno all’anno per il solo effetto del movimento naturale della popolazione. Difficile, molto difficile, che l’Italia possa consentirsene di più, dal momento che, affinché i flussi migratori in entrata possano esercitare un influsso benefico sulla popolazione, anche in termini di nascite, occorre che si integrino economicamente e culturalmente. Ora, il saldo del movimento migratorio, precipitato com’era prevedibile nei primi otto mesi del 2020 – anno pandemico per eccellenza, anno di aeroporti e frontiere chiuse, di movimenti specialmente internazionali limitati al massimo grado – ad appena 37 mila unità, è negli stessi mesi risalito a 89 mila nel 2021 e a 143 mila nel 2022. E’ da annotare riguardo al valore del 2022 che (a) ci porterà alla fine dell’anno oltre la soglia consigliata di un saldo migratorio positivo di almeno 200 mila unità, (b) registra un aumento rispetto al 2021 superiore, sia pure di poco, all’aumento fatto segnare dal 2021 rispetto al 2020, quando il valore del saldo migratorio era sceso al livello più basso di sempre e (c) è del 70 per cento superiore al saldo migratorio dei primi otto mesi del 2019, anno non pandemico,  che non è andato oltre le 86 mila unità – valore che già era stato raggiunto e di poco superato nel 2021.

  

C’è tanto da fare per attuare in Italia una politica demografica che sia allo stesso tempo realistica ed efficace

  

Ecco dunque i tre indizi. Dei quali si deve apprezzare la simultaneità: sono tutti di questi primi due terzi dell’anno in corso. Elemento ulteriore che lascia immaginare un qualche risveglio demografico, tanto inatteso quanto provvidenziale, se tale fosse davvero. Ovviamente si tratta di indizi con un diverso grado di affidabilità. Il più  affidabile è l’ultimo esaminato, quello del saldo migratorio, tornato a essere non già fortemente ma adeguatamente positivo. Il meno affidabile è quello relativo alle nascite. Continuerà la striscia degli aumenti mensili positivi iniziata col mese di giugno e proseguita a luglio e agosto di quest’anno? La cosa certa è che a un certo momento ci aspettavamo una diminuzione ben oltre le 10 mila nascite del 2022 rispetto al 2021, mentre adesso previsioni realistiche portano a una diminuzione almeno dimezzata se non proprio o quasi azzerata. Nel mezzo, quanto ad affidabilità, stanno i matrimoni. I dati sono di un mese più indietro rispetto a quelli delle nascite e dei movimenti migratori: luglio anziché agosto. E agosto e settembre sono mesi di tanti matrimoni, soprattutto religiosi. La partita, se e di quanto si manterrà l’aumento dei primi sette mesi del 2022, è aperta e si è giocata sostanzialmente ad agosto-settembre. Ci sono tutte le premesse perché alla fine dell’anno i matrimoni  superino quelli del 2021, sia per quanto riguarda quelli civili che i matrimoni religiosi. Un dato nient’affatto scontato, considerato che nel 2021 si sono celebrati tanti matrimoni rimandati nel 2020 a causa della pandemia.

 

Questo, dunque, il quadro. Ora, che cosa ci suggerisce? Ci suggerisce, ed è questo il primo punto che non può essere in alcun modo sottovalutato, che non tutto dei nostri destini demografici, del destino della popolazione italiana, è già stato scritto. Che molto resta ancora da scrivere anche se è fuori discussione che questo  non potrà comunque esser tale da ribaltare  tendenze che sono in gran parte già inscritte nella struttura attuale della popolazione italiana. Per capire quanto tali tendenze già bene annidate nella nostra popolazione ne condizioneranno il futuro al di là di ogni nostro sforzo basta considerare nella giusta luce che (a) l’età media della popolazione italiana è altissima, oltre 46 anni e (b) la proporzione sul totale delle donne di quelle in età feconda, e dunque con la potenzialità dei figli, è scesa dal 47 per cento degli inizi del Duemila al 39 per cento di oggi, perdendo quasi due milioni di unità dal 2009, quando quella popolazione ha raggiunto il suo massimo in cifre assolute di 13,9 milioni di donne. E’ di tutta evidenza che una popolazione così vecchia e con poche donne in età feconda, oltretutto destinate per le basse nascite a diventare ancora di meno, non può ribaltare la situazione. La Population Division dell’Onu calcola che almeno la metà di quel che attende una popolazione come la nostra è già inscritto nell’oggi e non può essere cambiato. Ma si possono evitare le derive più disastrose. Questo è ciò che dice la teoria, con una buona parte di quel che sarà ancora per così dire disputabile; ed è anche ciò che suggeriscono i nostri tre indizi, appena messi in fila e discussi nei loro aspetti di affidabilità e capacità previsionale.

 

Ed eccoci allora al secondo punto che sarebbe un delitto sottovalutare: ci sono spazi per un’azione in positivo che tenda a sfruttare quel cinquanta o poco meno per cento ancora disputabile. La finestra temporale affinché un’azione convinta e decisa in questa direzione possa essere messa in atto e dare buoni frutti è, date le condizioni strutturali negative,  molto limitata. E non a caso non c’è previsione a lungo termine, non solo quella dell’Onu, che non ci dia con il Giappone e la Cina tra i grandi sconfitti della sfida demografica. Ragione in più per non perdersi in battaglie inutili, sterili, di rappresentanza, di identità. La legge 194 non è sotto attacco, i diritti delle donne non sono sotto attacco, nessuno stravolgerà il quadro delle garanzie costituzionali. Siamo seri e passiamo oltre. E guardiamo a quello che davvero preme e può essere fatto.
L’opposizione – da intendere: le opposizioni – ha l’occasione per uscire dai proclami di principio, articolare una proposta, incalzare il governo, rendere evidente all’opinione pubblica come possa incidere sulle questioni del destino del paese. La questione demografica è centrale, centralissima per questo destino, eppure nessuno sembra davvero curarsene. Il governo sta ridefinendo, almeno crediamo e speriamo, i contorni di un ministero che in altri tempi avremmo considerato riempitivo, un’aggiunta, uno strapuntino per accontentare qualche membro della compagine governativa rimasto fuori.

 

Oggi il ministero della Famiglia e della natalità è il non plus ultra di un’azione programmatica di grandissimo impegno e lunga lena. Il legame famiglia-natalità, decisivo, comunque lo si guardi, del grado di vitalità riproduttiva ed ecologica in senso lato della popolazione è in gravissima crisi. Non solo: sono in gravissima crisi entrambi i poli di quel legame, la famiglia e la natalità. Ma c’è un prima e un dopo, tanto in questo legame che nella sua crisi: il prima è la famiglia, il dopo la natalità. Non c’è salvezza demografica possibile persistendo una congiuntura tanto bassa della considerazione sociale della coppia eterosessuale e della famiglia su questa coppia fondata. Tutti i diritti conquistati a partire dagli anni Settanta –  e chi scrive al pari della grande maggioranza degli italiani li giudica incomprimibili –  dal divorzio all’aborto, dalla libertà sessuale al nuovo diritto di famiglia, dal riconoscimento delle famiglie di fatto alle unioni civili, hanno finito per giocare contro la famiglia – non hanno soltanto contribuito a limitarne portata, funzioni, ruolo, prospettive; ne hanno anche fatto un’istituzione  in ritardo sui tempi e incapace di uscire dall’angolo in cui si è auto confinata per cercare una salvezza residuale più di nome che di sostanza. La famiglia italiana ha perso vitalità, sta esaurendo la sua carica propulsiva per se stessa e la società. Rianimare la famiglia, fondata o meno che sia sul matrimonio della coppia eterosessuale, ristabilirne una centralità valoriale e funzionale, è impresa tanto difficile quanto indispensabile. E non c’è che una strada per farlo: inserire nel suo corpo energie e spinte anche ideali e culturali nuove. Se in questo corpo non entreranno nei prossimi dieci-quindici anni tante e sufficientemente giovani coppie con la propensione e la possibilità di avere due figli al posto di quell’unico così in voga oggi, il nostro paese non avrà un futuro, non un futuro che al di là del prossimo mezzo secolo sia ancora vitale e apprezzabile. Diciamo le cose come stanno: assieme all’ascensore sociale si è bloccata in Italia la formazione di coppie giovani con la propensione e la possibilità di guardare ai due figli. 

 

Così, paradossalmente, il centro di una vera politica demografica oggi in Italia è in realtà piuttosto lontano da ciò che siamo soliti intendere per politica demografica. Perché una politica demografica insieme realistica ed efficace non è neppure immaginabile se quell’ascensore non si rimette in moto. E se non lo fa alla grande.  Ed ecco allora fin dove portano i nostri tre indizi, dritti a questa conclusione.

 

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