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Parodossi sul lavoro

L'occupazione migliora ancora. Ma il calo dei contratti a tempo è un segnale preoccupante

Dario Di Vico

Nel confronto con agosto i lavoratori in più sono 46 mila. Si registra un netto calo degli inattivi (-86 mila) e un lieve aumento di chi cerca un posto (8 mila). Cresce anche il numero degli under 35 impegnati professionalmente

Il primo commento ai dati pubblicati ieri dall’Istat sull’occupazione di settembre non può che essere di ovvia soddisfazione. Nel confronto con agosto gli occupati in più sono 46 mila, si registra un netto calo degli inattivi (-86 mila) e un lieve aumento (8 mila) di chi cerca un posto. L’autunno statistico del lavoro non si presenta, dunque, totalmente a tinte fosche anche perché se estendiamo il raffronto all’ultimo anno l’incremento degli occupati è di 316 mila, un terzo donne e due terzi uomini. Cresce il numero degli under 35 che lavorano e il tasso di occupazione al 60,2 per cento rimane alto – almeno per l’Italia – anche in virtù del contributo della demografia avversa. I lavoratori autonomi in un mese sono scesi di 20 mila unità ma anno su anno il bilancio resta positivo (83 mila). Operata però la prima e doverosa lettura dei dati è interessante approfondirne alcuni, perché seguendo quelle tracce si scopre molto di più su cosa stia avvenendo e su cosa è assai probabile che avverrà. E sulle contraddizioni di un mercato del lavoro che in troppi sono abituati a leggere in chiave ideologica e non fattuale.

 

Partiamo, allora, dall’incremento dei posti fissi che in un solo mese sono cresciuti di ben 82 mila unità. L’interpretazione che ne dà Tiziano Barone, direttore di Veneto Lavoro, un osservatorio estremamente attento alle tendenze, riporta alle scelte del settore manifatturiero che si tiene strette le competenze, stabilizza i lavoratori assunti precedentemente con contratti flessibili e il motivo è uno solo: “Sul mercato si fatica a trovarne”. Non solo: si registra anche uno spostamento di quote di forza lavoro dal terziario alla produzione, l’esempio è quello di donne che lasciano i servizi alla persona e vanno a lavorare nelle aziende di assemblaggio della zona Pedemontana. La tendenza veneta la si può facilmente estendere in sede di analisi a tutte le regioni che stanno attorno alla A4, dove il mercato del lavoro soffre principalmente delle difficoltà nel ricambio delle competenze e nella ricerca di persone che sappiano far propri i cambiamenti della trasformazione digitale. Il turismo, che pur ha vissuto e sta vivendo momenti felicissimi, non dà un gran contributo di posti fissi mentre si segnala una riduzione dell’occupazione a tempo determinato nell’agricoltura a causa dell’anticipo della vendemmia e dei problemi legati alla siccità.

 

 L’interpretazione di Barone trova conferma nelle valutazioni di Andrea Malacrida, amministratore delegato di Adecco. Viviamo una fase di stabilizzazione e trasformazione dei contratti (all’insegna del “quelli bravi non me li faccio scappare”) che segue il vero e proprio boom della flessibilità registrato nei mesi della ripresa post Covid e pre crisi del gas. Settimane e settimane in cui il lavoro cosiddetto somministrato, ovvero gestito dalle agenzie private come Adecco, aveva toccato il suo massimo storico (il 3 per cento della popolazione attiva). Ma se a monte della pipeline del lavoro assistiamo a un fenomeno virtuoso di stabilizzazione e creazione di posti fissi, cosa sta succedendo a valle? E’ qui che purtroppo si addensano i problemi. Perché se è vero che gli ordini sono ancora vivaci l’orizzonte della fiducia è basso. E la diminuzione dei contratti a termine (-20 mila) registrata in un solo mese lo testimonia. E’ diminuito drasticamente il flusso degli ingressi e rischia di interrompersi il circuito virtuoso flessibilità-stabilizzazione. Il motivo, per Malacrida, è semplice: tanto le multinazionali quanto le Pmi fiutano l’odore della recessione e quindi adottano la politica del braccino corto,  acquistano sempre meno flessibilità sul mercato del lavoro. E la pipeline rischia di restare a secco. Molto ovviamente dipenderà dai prossimi mesi – e con i dati del pil del terzo trimestre abbiamo visto che le sorprese non mancano mai – ma il pericolo è che dopo aver stoppato gli ingressi a tempo determinato si finisca per intaccare la cittadella dei posti stabili, inizialmente magari con un accentuato ricorso alla cassa integrazione.

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