(foto di Michele Masneri)

dagli al "bombolone"

Reportage da Piombino, dove il rigassificatore è spauracchio di sogni e desideri vacanzieri

Michele Masneri

Dopo la grande saga ferrosa, vuole diventare la nuova Capalbio. E il no all'impianto di rigassificazione spopola nel centro storico. Tra spiritelli Nimby e angosce immobiliari, racconto dalla città dove si gioca la nostra indipendenza energetica

Per spiegare queste pazze elezioni estive e anche un po’ l’Italia della tanto strombazzata agenda Draghi, che è come la sora Camilla, tutti la vogliono e nessuno se la piglia, bisogna andare a Piombino. E’ un posto che tutti crediamo di conoscere, tutti ne abbiamo sentito parlare, ci siamo passati, ci abbiamo generalmente preso un traghetto, concentrati più sul non finire in mare tipo Fantozzi con la Bianchina che non sulle bellezze naturali che pure ci sono, copiose. Pochissimi infatti ci si sono fermati. E’ un posto che sembra lontanissimo e insieme vicino, comunque rovesciato rispetto alla capitale. Noto per le sue acciaierie, oltre che per i traghetti per l’Elba, adesso conosce una nuova fama politica e barricadera. La questione, si sa, è quella del rigassificatore: una grossa nave scura e cicciotta della Snam, dal nome inquietante ed esotico, Golar Tundra, che verrà parcheggiata al largo del porto, e trasformerà il gas liquido in gassoso, in funzione anti Putin.

Funziona così: il gas viene trasportato, invece che coi tubi, sulle navi, dove viene  “abbattuto” tipo tonno o salmone, così occupa molto meno spazio, poi col contatto con acqua di mare, più calda, si rianima, torna gassoso, e finisce,  dai tubi, nei nostri termosifoni. Insomma, Piombino contro Putin. La questione fa implodere però la politica sia nazionale che locale. A Roma (son buoni tutti), centrodestra e centrosinistra, son tutti a favore di questo rigassificatore. Ma gli stessi partiti, a Piombino, manifestano invece per non farlo, non ne vogliono sapere. Se a Roma Giorgia Meloni oltre che atlantista è anche tirrenista, e lo vuole strenuamente, a Piombino il sindaco Francesco Ferrari, di Fratelli d’Italia, il primo di destra in un feudo da sempre rosso, è contrarissimo e comanda le rivolte. E il Pd, che a Roma ha stretto l’accordo con Azione (Calenda è il più rigassificatorista di tutti, invoca perfino l’esercito), qui è contrarissimo pure. Anche la Lega, favorevole a Roma, contraria a Piombino (in mezzo a tutta questa protesta, quasi scompaiono i 5 stelle, sia qui sia là). Però insomma, un bordello. Tra un po’ ci manca che arrivi pure la Nancy Pelosi.

Il fatto è che Piombino ha tante nature e pare che questa storia, così almeno appare al cronista accaldato e inattrezzato, colga la cittadina in un delicato momento di trasformazione tra un’identità e un’altra. Come quella del gas, un cambiamento di stato. Cronista oltretutto di Brescia, città “mandante” delle acciaierie un tempo Lucchini, che a Piombino erano il core business, e che parallelamente ha conosciuto lo stesso destino (siderurgico, poi lenta e faticosa trasformazione in piccola potenza culturale). Ma andiamo con ordine. “Piombino anticamente era talmente bella che Napoleone qui volle ripristinarvi il principato, appunto di Lucca e Piombino”, dice al Foglio Paolo Virzì, livornese, raccontatore della nazione, nel solco della grande commedia all’italiana, a partire dal suo primo film “La bella vita” del 1994, storia di piombinesi ex operai.

“E qui dopo l’aristocrazia vera c’è stata un’aristocrazia operaia, quella delle acciaierie, della Magona d’Italia. Si diceva dei ragazzi: ‘piglialo, bimba, l’è di Magona’, insomma se lavoravi alla Magona, era qualcosa di solido e di ganzo”. Piombino era infatti una specie di Sesto San Giovanni pieds dans l’eau, epicentro della saga ferrosa italiana, che ha portato occupazione, bandiere rosse, anche malattie, scorie, poi de-occupazione, senza però le lamentazioni pugliesi a ritmo di taranta, perché qui si è toscani e si preferisce magari la bestemmia o lo sberleffo al lamento. 

La città insomma ha da sempre due anime, una aristocratica e una operaia, ma unite dalla lontananza. Quando era principato, sovrano, come sogna forse il sindaco di oggi, il barbuto Francesco Ferrari, batteva moneta e non aveva nessuno sopra. Ma prima di Napoleone, i principi sovrani, i romani Boncompagni-Ludovisi, lo trascuravano talmente, ci andavano talmente poco, che veniva continuamente invaso, questo regno sovrano e bellissimo.“Poche miniere vantano pari antichità nobiliare, giacché erano attive fino dal tempo degli etruschi” scriveva il solito strepitoso Piovene nel suo “Viaggio in Italia”. 


“Era un posto magico, con Populonia e Baratti oasi naturali, spiagge clamorosamente belle che sembrano Caraibi”, dice Paolo Virzì


“Piombino era un posto magico, con Populonia e Baratti oasi naturali, spiagge clamorosamente belle che sembrano Caraibi”, dice ancora Virzì. “Poi proprio lì hanno messo la lavorazione dell’acciaio. Che da una parte ha dato accesso a una vita di progresso per un mondo di minatori poverissimi che arrivavano da posti vicini tipo Campiglia. Ma ha portato anche inquinamento, distruzione del territorio, sofferenza”, ricorda. “Poi l’acciaio se n’è andato, e se vai in spiaggia, la maggior parte di chi ha aperto i baracchini sono ex operai del siderurgico”. 


Arrivando, la città pare fantasmatica. Nella centrale via Petrarca solo negozi di saponi, discount di saponi, scritte sui muri (“ketamina”). Rulli di tovaglie cerate e mollettoni vari sotto i porticati cascanti tipo Sabaudia  ma bombardata. Molti cani e pipì di cane e canotte alle finestre anodizzate. Palestre di judo. Uffici  comunali riarsi con bandiere consunte. Tute, braghe corte. Pochissimi cantieri rispetto al resto d’Italia che si è rifatto il volto in questi mesi col lifting pagato dai contribuenti. E se fosse questo il segreto della protesta piombinese? Una protesta sotterranea per contare qualcosa? Come già Trieste, che ha cavalcato gli impresentabili No vax per farsi un po’ notare?

In questa parte della città più che slavo si sente parlare però romeno e africano, e frullano gli hijab nel vento bollente. Qui i cartelli “no rigassificatore” sono pochi, ce n’è uno appeso a un ennesimo discount di detersivi, poi uno su una pescheria. Aumentano esponenzialmente invece man mano che si prosegue verso il centro storico e piazza Bovio, mentre la città, lì, appare bella, ristrutturata, perfino portofinesca. Piombino pensavo peggio? “La città, l’avrai notato, è divisa in due”, mi dice la libraia Marianna Coli, della bella e frequentata libreria Coop che sta su Corso Italia, cerniera tra le due Piombino. No gas riflessiva (è invece Sì vax), dice “tanto hanno già deciso, lo faranno, inutile protestare”, offre piuttosto una più interessante riflessione urbanistica. “Avrai notato quante agenzie immobiliari ci sono qui intorno. C’è chi ha comprato casa a 400 mila euro, magari con terrazzo. Da questa parte della città. Per la prima volta la gente si ferma, a Piombino, e se hai speso 400 mila euro per un terrazzo, e adesso vedi la nave Tundra, certo non sei contento. Si compra casa e si affitta ai turisti, e quando mai era successo, a Piombino?”. 


La protesta prevede: che Putin attaccherà la metaniera (ma sono in pochi, non si abbocca molto a queste cose qui); che il mare sarà rovinato


In effetti, fuori, la quantità di agenzie è incredibile. I giornali locali parlano di aumenti continui dei prezzi al metroquadro. “Qui un sacco di fiorentini e milanesi hanno comprato casa negli ultimi anni”, dice l’altra libraia, Elena Danti, con humor locale. “All’inizio erano attratti dai colori del cielo, il rosso scarlatto, pensavano di essere alle Hawaii, poi capivano che erano le acciaierie”. Ma comunque hanno comprato.  E’ chiaro che una parte della città, la Piombino “nuova”, aspetta, prepara, monetizza, la tanto vituperata gentrificazione. E andando verso il castello e il vecchio porticciolo turistico, la dimensione portofinesca aumenta in maniera impressionante. Dove comincia il pedonale aumentano proporzionalmente anche i cartelli “no rigassificatore”.  Sulla piazza Verdi il gelataio Ice Cream Palace ha il cartello. E così il bar Falesia nel cinema Metropolitan sbarrato. Ma i cartelli diventano più frequenti man mano si va giù tra le spritzerie e le “tuscany specialties”, sul corso Vittorio Emanuele col caffè Nanni con le poltroncine fuori di midollino tipo Quisisana a Capri, e la trattoria “albucogiusto”, tutto attaccato e la deep ztl con negozio Birkenstock che certifica la presentabilità radical. Finché si sbuca sul municipio turrito in stile fiorentino neogotico rifatto nel ’35 che guarda sul mare (di nuovo Trieste?). 

Andiamo, si sarà capito, dal sindaco. Ma prima, intermezzo. Clash di civiltà: sulla “piazzetta del Mare” al tramonto a dieci metri dal municipio giovani che potrebbero essere a Ibiza degustano ostriche e moscardini sotto una ruota panoramica illuminata con la P di Piombino. Poco più in là, su un balcone, un signore a torso nudo tipo Ciprì-Maresco, sistema uno stendardo, solito no al rigassificatore, ma qui arricchito da disegni, “non esiste il rischio zero. Ipoclorito di sodio! No acquetta di mare”. La protesta, in generale, non scritta, prevede: che Putin attaccherà la metaniera (ma pochi, non si abbocca molto a queste cose, qui); che rovini i mari. Abbassandone, per l’effetto dello scambio di calore col gas gelido, le temperature (a quel punto non si vuole esser negazionisti climatici, anzi non essendolo, verrebbe da dire: un rigassificatore in ogni porto! Per riportare giù i termometri!). 

Più giù, alla Pro-loco tra i pesci in acquari virtuali una signora quasi mi mangia vivo come un sashimi: “Cosa dice! Qui abbiamo tutto: il mare vero, la Bandiera blu, il castello, l’arte la storia. Sembra uno scherzo che ci mettano qui la metaniera. Dovrebbero far di più, peggio contro il rigassificatore! Altro che manifestazioni!”. Ma poi vien fuori lo spiritello Nimby più scatenato. Alla mia protesta (“a La Spezia ce l’hanno, il rigassificatore”!), risponde: “E che se lo tengano!”. “O Dovrebbero piuttosto metterlo a Torre del Lago Puccini! Ma ecco, mettetelo lì! In quella fanga, o non sarà mica mare, quello?”. 

In effetti a La Spezia ce l’hanno da cinquant’anni, il rigassificatore. Uno dei tre funzionanti in Italia è lì, per l’esattezza a Panigaglia. E’ il più antico, è lì dal ’71, non ha mai dato noie, meno di una bombola da campeggio. “Mai avuto problemi di sicurezza”, ha detto tronfio il governatore ligure Toti. Che rilancia: “Abbiamo autorizzato in giunta sette giorni fa il suo massimo utilizzo. Stiamo anche valutando la possibilità di ospitare altri impianti ove servisse e il governo ne facesse richiesta”. Insomma Toti vuole che la Liguria diventi la Atlantic City dei rigassificatori. 

E l’altro sta a pochi chilometri da qui, a Livorno. Era il famigerato “bombolone”. “Mi ricordo anni fa le infinite manifestazioni contro il ‘bombolone’ di Livorno, poi non se n’è più saputo niente”, dice ancora Virzì. Era il 2013, all’epoca Putin era ancora un partner strategico, ma comunque il bombolone faceva paura. “Si paventava  la distruzione di coste, flora, fauna, di qualunque cosa. Poi l’hanno realizzato, ed è una nave, posta a 22 km dalla costa. Ti metti lì col binocolo e cosa vedi? Un puntino”. Il bombolone, i russi non l’hanno mai attaccato. “Poi, io non sono un tecnico”, dice Virzì. “Ma non sono contrario a priori. Credo che l’importante sia che tutto sia ben realizzato tecnicamente”. 


Il sindaco Ferrari (FdI) è un perfetto volto del nuovo melonismo. “Meloni l’ho vista l’altra sera alla Versiliana, vado sempre ad ascoltarla”


Siamo pazzi? La vulgata vuole che il rigassificatore, oltre che target di attacchi putiniani, distrugga tutto. “Aspetti che ho le mani nel pesce”, mi dice al telefono Giacomo Achilli, presidente dell’associazione ristoratori della confinante Follonica. “La verità sa qual è? Che ci siamo rotti il cazzo. Ci vogliono far passare per quelli che dicono sempre no, la verità è che qui si è sempre detto sì a tutto. Prima le acciaierie, poi le scorie, poi l’inceneritore qui accanto, a Scarlino. Adesso questo barcone in mezzo al porto, che sverserà nell’acqua i suoi rifiuti”. Non acquetta? “Cloro! Ammoniaca! Proprio adesso che con tanta fatica stiamo tutti lavorando per una riconversione del territorio, per far crescere la vocazione turistica ed enogastronomica di Follonica!  La verità è che l’Alta Maremma e la Valdicornia è da sempre la pattumiera di Toscana. Ma adesso ci siamo rotti il cazzo”. Valdicornia, io non lo sapevo, è il nome di questa parte che comprende Piombino e il suo golfo.  Ma a Livorno c’è, a La Spezia c’è, ribatto, il rigassificatore. “Ma sono posti molto diversi, a Livorno è al largo, qui, siccome è costruito in emergenza, sarà a cento metri. E La Spezia è un porto industriale, non turistico”. E alle elezioni che farete? “Io a votà ’un ci vado. Li ho provati tutti. Poi adesso fanno pure la propaganda, dicono che se arriva la Meloni torna il fascismo. Suvvia”.

Fine dell’intermezzo. Andiamo dal sindaco. Meloniano. Francesco Ferrari, ganzo quarantacinquenne, il primo di destra-destra in una città di sinistra-sinistra. Fratelli d’Italia, avvocato penalista, “ma mio suocero faceva l’operaio in Magona”. Lacoste chiara, braccialetto col tricolore, fisico snello, uso di Instagram moderato-cool, altro braccialetto con la scritta “per aspera ad astra”, disegni delle figlie sotto la foto di Mattarella. Nell’androne del municipio, due poster: uno mostra la Piombino devastata dai bombardamenti nel ’43; qui il 10 settembre di quell’anno cominciò infatti la Resistenza. L’altro poster celebra il “sustainable water management in the Cornia Valley”. Poi poster sulle varie manifestazioni in corso, enogastronomia, e in sala d’attesa una rivista che ignoravo: “Borghi e città magazine” (bilingue, tre euro e cinquanta). 

Il sindaco è gentile, molto impegnato, chiaramente viene corteggiato molto in questo periodo, è un perfetto volto del nuovo melonismo. “Meloni sì, l’ho vista l’altra sera alla Versiliana, come sempre vado ad ascoltarla”. Ma l’ascolto è reciproco, “non lo nascondo, da Roma mi sono arrivate proposte anche per dei ruoli a livello nazionale, ma il mio impegno è qui, anche per la prossima legislatura”. L’idea del sindaco, che in questo è in piena sintonia con la nuova Piombino a km zero, è di lasciarsi alle spalle il passato, politico e industriale: “qui vigeva la monocultura della fabbrica”, e quella del Pd, sottinteso; “la fabbrica portava danni, distruzione, malattie, ma almeno garantiva occupazione”. A un certo punto la fabbrica ha chiuso e son rimaste solo le scorie. E, sottinteso di nuovo, la scoria più difficile da processare, sempre il Pd. Il discorso del sindaco è chiaro: se le precedenti giunte hanno allargato discariche, anche di rifiuti speciali, e continuato a non considerare l’ambiente, “noi abbiamo investito sulla cultura. Nel castello, ristrutturato, c’è una mostra di arte contemporanea. La sera continuano gli eventi. Abbiamo investito sul turismo, la cantieristica”. Insomma vogliono giustamente le barche, “che nel resto della Toscana trovano il tutto esaurito. Mentre stiamo diventando la nuova Versilia, invece di uno yacht ci piazzano la metaniera”.

Maremma metaniera. Però, sindaco, a Livorno c’è, a La Spezia c’è. “Sono posti diversi, a Livorno è a venti chilometri dal porto, quello spezzino è un porto industriale”, dice Ferrari. Poi c’è il discorso del “calare dall’alto”. Nessun ascolto del territorio, sono arrivati i tecnici della Snam a fare le misurazioni, tipo Amici miei, senza dire niente, dice. “Il governo ha fatto tutto arbitrariamente. Abbiamo chiesto l’accesso agli atti, abbiamo chiesto al ministero della Transizione ecologica di vedere la relazione tecnica, ci hanno dato una risposta sconvolgente: non c’è nessuna relazione tecnica”. Va avanti: “Per troppi anni Piombino ha subito, adesso basta”, dice il sindaco. E però scoppia la contraddizione: il suo partito, a Roma, è a favore di questo benedetto rigassificatore. Come tutti gli altri. “Farei dei distinguo. Se Calenda lo vuole a ogni costo qui, anche a costo di militarizzarci, cosa che mi lascia sgomento, Meloni ha detto che ascolterà i territori”. Il sindaco mi accompagna alla porta, sotto i cartelli delle notti piombinesi e delle kermesse enogastronomiche e della Valdicornia Valley. “Magari si innamorerà anche lei di Piombino”. 


Innamorarsi di Piombino non pare difficile. Usciti dal municipio, si piomba davvero in “uno dei borghi più belli d’Italia”


Viene in mente la vecchia canzone di Laura Betti scritta con Pasolini e Arbasino: “Innamorarsi a Taranto / è stato un vero errore / l’ho fatto per amore / di un incrociatore”. Qui la rima verrebbe facile con “rigassificatore”. E innamorarsi di Piombino non pare difficile, da questa parte della città. Uscito dal municipio, si piomba davvero in “uno dei borghi più belli d’Italia”. Tutti i negozi sono aperti fino a mezzanotte, si vedono già camicie di lino lise e Car Shoes dai gommini smangiati: forse tutto già sta accadendo sotto i nostri occhi. Certo, c’è il grullo in costume che risale dalla spiaggia smadonnando, e il grullo col galleggiante in spalla, e il grullo sul balcone con l’acquetta, ma si capisce che sono fenomeni che stanno scomparendo, la gentrification è più svelta della Snam, tra i tavolini con le poldine e i vini naturali e i Rolex rigorosamente acciaio graffiati spuntano negozietti per signore con abitucci di feltro per l’inverno. E’ un attimo che arriva Lisa Corti. 

Altri indizi: all’enoteca il Pizzico, il cartello “no rigassificatore” svetta tra pici senza glutine e riso Acquarello. Insomma, tra principi sovrani, memorie napoleoniche, pesci rarissimi, vuoi vedere che diventa la nuova Capalbio? (“Amo anche tu a Piombinoooo”, pare già di sentirlo). Gli annunci immobiliari vendono ville in Valdicornia a cinquecentomila euro (di nuovo, echeggiano già nella nostra fantasia: “Ciao amo sono in Valdicornia, domani arrivano anche Verde e Sveva). Ma del resto se Capalbio si è espansa a sud fino a Montalto e a nord fino quasi a qui, qui siamo pronti. E se là c’è la centrale elettrica, qui solo un rigassificatore, cosa vuoi che sia.  E’ un attimo: l’Elba che svetta all’orizzonte è meta da sempre di prosapie lombarde sobrie, dai Trussardi ai Moratti, basta fermarsi e zac. Alla fine si capisce che il rigassificatore, la metaniera, il bombolone insomma, più che raffreddare le acque o distruggere la fauna, sembra riscaldare gli animi in un momento, abbastanza raro, in cui questa città sembrava godersela, per una volta, e voler sfuggire a un destino prestabilito (cambiare stato, insomma,  come il gas nel bombolone, vabbè).

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  • Michele Masneri
  • Michele Masneri (1974) è nato a Brescia e vive prevalentemente a Roma. Scrive di cultura, design e altro sul Foglio. I suoi ultimi libri sono “Steve Jobs non abita più qui”, una raccolta di reportage dalla Silicon Valley e dalla California nell’èra Trump (Adelphi, 2020) e il saggio-biografia “Stile Alberto”, attorno alla figura di Alberto Arbasino, per Quodlibet (2021).