(Foto di Ansa) 

Processi sommari

La logica spietata del “senno del poi”, anche dopo la Marmolada. Le cause nel sistema penale

Cristiano Cupelli

Messa in moto la macchina infallibile e moralizzatrice per cui tutto è sempre prevedibile e quindi evitabile, un colpevole si trova sempre
 

Chi sarà il prossimo colpevole? Questa la domanda che affolla la quotidianità della giustizia penale, nella morsa della logica accusatoria del “senno del poi”, riesplosa in questi giorni dopo il tragico evento della Marmolada. Lo schema imputativo è semplice e lineare: a fronte di un evento avverso, da un disastro ferroviario a una frana, da un incendio a un’inondazione, da un terremoto al crollo di un ponte, da un incidente stradale a un intervento chirurgico dall’esito infausto sino a un fallimento o a un’operazione societaria errata, non può non esserci un responsabile, qualcuno che in fondo non abbia fatto tutto ciò che si sarebbe potuto fare per evitarlo, controllando e impedendo, attivandosi o astenendosi. Parte allora la ricerca, iniziando – per non sbagliare – da chi riveste posizioni apicali, meglio se mediaticamente esposto e politicamente schierato. E va da sé che, una volta messa in moto la macchina infallibile del “senno del poi”, con l’ampia e immancabile grancassa mediatica di supporto, qualcosa che si sarebbe potuto fare, di più o di diverso (e certamente di meglio), o qualcuno che si sarebbe potuto attivare, prima e più efficacemente, o che in ogni caso avrebbe potuto controllare, si riesce sempre a trovare. Si chiude così il cerchio, inizia il processo sommario (ben prima che si arrivi in tribunale) e giustizia è fatta. Che poi, magari a distanza di anni, si arrivi a riconoscere l’assoluta estraneità degli indagati o imputati è un dato destinato a essere relegato nelle brevi di cronaca di quei quotidiani che si sono dimostrati più implacabili nella caccia al colpevole. 
Per provare a spiegare le cause di questa furia colpevolista si può certamente invocare il ben noto circuito mediatico-giudiziario che accompagna l’apertura di indagini su fatti eclatanti. 


A ben vedere, però, sul piano tecnico-giuridico la matrice di questo guasto risiede anche (se non soprattutto) all’interno del sistema penale, nel combinato esplosivo tra l’improbo e talora esoterico accertamento del rapporto di causalità e i tormentati rapporti tra responsabilità omissiva e colpa, tra obblighi impeditivi e regole cautelari, tra evanescenza della cosiddetta posizione di garanzia (sia essa di protezione o di controllo) e fluidità delle regole cautelari, nel complicato crinale tra precauzione e prevenzione.
In queste pieghe si annida e prolifera la logica moralizzatrice e spietata del “senno del poi”, per cui tutto è sempre prevedibile e quindi evitabile, tutto ciò che astrattamente “si sarebbe potuto fare” (anche a costo di inibire o bloccare qualsivoglia attività lavorativa, professionale, culturale o ludica che sia) allora anche “si sarebbe dovuto fare”. A ciò va aggiunto che, nelle contestazioni colpose, una qualche regola cautelare violata – alla fine – la si riesce sempre a scovare: una non meglio specificata negligenza o imprudenza, lieve o grave che sia, sovrastante l’onnicomprensivo e pervasivo dovere di diligenza a cui potersi appellare.
Tutto ciò è coerente con la sensazione che, assunta la necessità di trovare a tutti i costi un colpevole per placare, col clamore simbolico della giustizia immediata, presunte o reali istanze di protezione sociale, si vada solo dopo alla ricerca di eventuali regole cautelari violate o di obblighi prevenzionistici disattesi. A fronte di tutto ciò, basterebbe ricordare, soprattutto al cospetto di eventi per natura straordinari, che nel diritto penale non tutto ciò che è potere è anche dovere e che il giudizio di evitabilità, contaminato dalla logica del senno del poi, non può leggersi in modo disgiunto da quello, ad esso preliminare, di prevedibilità, da condurre in una prospettiva di verifica da svolgersi necessariamente ex ante.

Cristiano Cupelli
ordinario di Diritto penale Università di Roma Tor Vergata

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