Nessun capro espiatorio

Clima? L'uomo metropolitano è parte delle soluzioni, non dei problemi

Antonio Pascale

Siamo otto miliardi e anche se consumassimo meno inquineremmo quel tanto che basta per alzare la temperatura. Invece che perdere tempo a trovare capri espiatori sarebbe meglio occuparlo a trovare rimedi, con realismo e meno proclami apocalittici

Quando qualcuno mi dice che abita in campagna o in un luogo isolato, io lo invidio. Abitando a Roma, di questi tempi, mi capirete: una puzza, la sporcizia, i gabbiani, i pappagalli e le cornacchie che si danno battaglia già dalle prime ore del mattino. Meravigliosi ed ecologici tram soppressi, metropolitane chiuse per lavori a tempo indeterminato. Lo invidio anche perché lui, sono sicuro, non fa i miei stessi sogni e cioè che il bidone della immondizia sia stato svuotato nottetempo. Lo invidio, lui, la sua vita, il giardino, i suoni e i colori della natura ecc. Invece quando quel qualcuno, interrogato sui tristi e luttuosi fatti recenti, come il crollo del ghiacciaio della Marmolada, dice: è colpa dell’uomo, ecco allora ci rimango male. Un po’ mi innervosisco, perché sotto sotto sento che mi sta dicendo che la colpa è mia, non sua. E’ mia, che sono un occidentale e metropolitano che compra (per la maggior parte) servendosi della Gdo, che ogni tanto si fa qualche viaggio e mette pure le foto su Instagram, insomma uno come me: un uomo (inteso come specie) consumista e inquinatore. Ci rimango male perché sono sicuro che lui, così dicendo, accusando l’uomo, si tira fuori dall’umano: c’è un uomo malvagio, cattivo, predatore e poi uno che invece fa scelte sane, ecologiche. Tuttavia, è un’accusa che mi fa riflettere. Le attività industriali, non c’è dubbio alcuno, hanno alzato il quantitativo di inquinanti e di vari gas serra. 


Anche volendo ragionare per euristiche si capisce che troppa CO2 in atmosfera bene non fa. Alla fine, è semplice logica: l’uomo ha costruito fabbriche, le fabbriche hanno inquinato. Non solo, l’uomo poi in ragione del reddito elevato (prodotto anche dall’attività industriale) ha cominciato a consumare tanto, infatti si muove, viaggia, vola, scala, nuota, contribuendo così ad amplificare la sua impronta ecologica. Nonostante subisca l’accusa e tenti di riflettere e trovare una soluzione, non riesco però a sfuggire a un paradosso che devo sottoporvi, nella speranza che qualcuno, magari un filosofo esperto in paradossi, me lo chiarisca. Cioè, che alla fine è grazie alla vita concentrata nelle città, con tutto quello che simbolicamente ed economicamente significa, che lui, l’accusatore di campagna o di montagna, può abitare, appunto, in un posto isolato, in un borgo, insomma in un luogo dove sentirsi diverso, uomo a parte, più nobile e pulito di me.

E sapete come funziona? I paradossi ne chiamano altri. Per esempio, diciamo che l’uomo è un problema, e però a ben vedere viene fuori che l’uomo è anche uno che risolve i problemi. Ognuno di noi, per passione propria, per scommessa con sé stesso, perché così gli gira, perché non pensa ad altro, si mette di buzzo buono e piano piano, pezzo dopo pezzo, trova uno strumento grazie al quale si vive meglio. E’ successo nel Novecento. Il secolo meraviglioso. Perché nonostante le due guerre, abbiamo sconfitto la fame e la malattia e nonostante i problemi legati alle diseguaglianze (che certi non vogliono nemmeno sentire), viviamo molto meglio rispetto al passato, anzi, per farla breve, prendiamo solo due parametri come indicatori, la mortalità infantile e l’aspettativa di vita. La prima è scesa ovunque (si mantiene alta in una dozzina di paese ancora molto poveri), la seconda è salita ovunque, da noi si attesta intorno agli 83 anni. Quindi il paradosso è che l’uomo dopo anni di tentativi isolati, mettendo insieme cervelli e immaginazione, è riuscito nel XX secolo a non far morire i bambini e questi bambini sono diventati grandi e hanno occupato una buona parte del mondo. Siamo infatti, grazie agli antibiotici, ai vaccini, alla migliore alimentazione, al welfare, ai moltiplicatori keynesiani, 8 miliardi di persone, e arriveremo a 10, processo irreversibile, per poi, dicono i demografi, decrescere.


Non so se sono e saranno tutti cattivi, insomma se vanno rubricati sotto la voce “colpa dell’uomo”, di sicuro sono venuti fuori grazie all’ingegno o alla fissazione umana di risolvere problemi e di trovare rimedi alla povertà culturale e alle ristrettezze della natura. Questi otto miliardi consumano e anche se consumassero meno, inquinerebbero quel tanto che basta per alzare la temperatura. Un paradosso. Sognavamo un mondo migliore ed ecco qua i risultati, un incubo demografico. Ma paradosso per paradosso, se noi smettessimo di dare il meglio di noi? Visto che in fondo in fondo per alcuni siamo sempre “il problema”, perché non abbandoniamo il pianeta? Smettiamo di fare figli, basta con questa fissazione di trovare rimedi e medicine che poi allungano la vita e con la vita il consumo e l’impronta ecologica. Se bruciassimo le nuove scoperte? Pensate se i sapiens che ci hanno preceduto avessero bruciato le scoperte relative ai vaccini, agli antibiotici, all’agricoltura, a quelle che hanno fatto avanzare la produzione e di conseguenza il reddito. Saremo di meno, forse un miliardo di persone, certo guerrafondai, con molta fame, ma almeno abitavamo tutti in campagna e non ci dovevamo preoccupare delle accuse di cui sopra. Maledetti paradossi, portano via tanto tempo, sarebbe meglio occuparlo a trovare rimedi, con lungimiranza, realismo e con meno proclami apocalittici. Lavoriamo con quello che abbiamo, 8 miliardi, la gran parte concentrata in città (che ha liberato spazi per il bosco: gestiamolo bene!), la temperatura più alta e molto cammino da fare per la transizione ecologica. Che poi forse porterà l’uomo a vivere più a lungo e a produrre nel futuro altri incubi: il problema dell’uomo è che vuole vivere, come facciamo?

Di più su questi argomenti: