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C'è un piccolo buco nero nella storia ostentata di Boris Johnson

Paola Peduzzi

Il rapporto con la madre Charlotte, da perno della famiglia a donna fragile e malata, e l'opportunismo dell'ex sindaco di Londra

“Ho spesso pensato che la sua idea di diventare il re del mondo fosse determinata dal desiderio di mettersi al riparo da ogni sofferenza, di essere in qualche modo invincibile, protetto dal dolore, il dolore per la vita, il dolore per una madre che è scomparsa, il dolore per il divorzio dei suoi genitori”, ha detto, in una rara intervista del 2013, Charlotte, la mamma di Boris Johnson. Oggi l’ex sindaco di Londra ed ex ministro degli Esteri potrebbe diventare il nuovo premier del Regno Unito, il re del (suo) mondo, la sintesi del giro su se stesso che il paese ha fatto negli ultimi tre anni. Tom McTague, che da ultimo è diventato uno dei giornalisti-da-seguire per comprendere il Regno Unito, ha pubblicato sull’Atlantic un ritratto del futuro premier dal titolo: “Boris Johnson incontra il suo destino”. Di Johnson è stato scritto e detto di tutto, ma McTague si inoltra, con delicatezza e anche un pizzico di scetticismo, in uno dei territori meno esplorati: Charlotte. La mamma di Boris Johnson – che in famiglia è ancora chiamato Al: il suo primo nome è Alexander – è stata il perno della famiglia Johnson: trentadue traslochi in quattordici anni per seguire il marito Stanley, che lavorava per la Banca mondiale e per la Commissione europea (un eurocrate!), il punto di riferimento dei quattro biondissimi figli, vivaci, ribelli, litigiosi, privilegiati. Papà c’era poco, la mamma c’era sempre, per qualche anno ha anche fatto homeschooling ai quattro ragazzini. Nel 1974, quando Boris aveva dieci anni e la famiglia era appena arrivata a Bruxelles, grande casa e scuola francese, Charlotte ebbe un esaurimento nervoso, “totally nuts”, ha detto Charlotte di sé anni dopo, guardandosi indietro. Decise di tornare in Inghilterra per farsi curare, e per nove mesi scomparve. Del tutto. Per i suoi figli fu uno choc, la loro vita dipendeva da Charlotte, Charlotte non c’era più e non sarebbe mai tornata com’era: ha sempre sofferto di depressione e di manie ossessive, a 40 anni le è stato diagnosticato il Parkinson. Quando tornò da quei primi nove mesi di cure – in cui per calmare la sua ossessione di lavarsi le mani ogni minuto la facevano stare sporca per giornate intere, doveva anche farsi la pipì sulle mani per superare la fobia – Boris e sua sorella Rachel partirono per la boarding school: l’infanzia era finita, anche la vita con la mamma lo era.

 

I biografi di Boris Johnson dicono che il futuro premier non ha mai superato quel trauma e che anzi tutto quel che ha fatto e voluto dopo quei nove mesi di assenza è stato proteggersi dal dolore, con egoismo e spietatezza. I meno romantici sostengono che questa visione umanizzante dell’ambizione feroce di Johnson sia un alibi semplicistico e pericoloso: avrà anche subito un trauma, Johnson, ma è diventato un politico che potrebbe portare il Regno Unito alla rovina.

 

Charlotte divorata dai sensi di colpa riconduce ogni cosa a quel momento: Boris si vuole invincibile perché non tollera il dolore e da sempre fa di tutto per sentirsi amato – l’opportunismo nasce da lì, da un bisogno ingovernabile di amore. Il Regno Unito non avrà probabilmente il tempo per occuparsi dei traumi di Johnson e anzi dovrà curarsi di quelli che potrebbe infliggere lui, ma tra le cose che Johnson vuole portare a Downing Street ci sono i dipinti di sua madre. Nel 2015 ci fu una mostra di Charlotte – che era diventata pittrice per caso, i suoi fratelli erano dei geni e lei no, le misero in mano dei pennelli per sfinimento – che comprendeva gli 80 quadri che dipinse al suo primo ricovero. Ce ne sono due che sembrano pugnali: uno si intitola “Chiedi ma non riceverai rassicurazioni”, ci sono tre mani che si cercano senza toccarsi; l’altro rappresenta la famiglia Johnson con i volti disperati, tutti sospesi con le braccia alzate, si sorreggono l’un l’altro e allo stesso tempo si abbandonano. Si intitola: “Appesi alle circostanze”, ed è attualissimo.

  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi