La proposta di abolire Eton nel Regno Unito

Cristina Marconi

L’idea pazza di chiudere le scuole delle élite in un paese ipnotizzato dalle sue élite

Londra. Il dibattito politico britannico è diventato una sorta di palio degli unicorni. L’ultimo quadrupede luccicante a essere stato lanciato in pista è l’iniziativa del Labour, sostenuta da un Ed Miliband in vena di riscatto, di abolire Eton e le grandi scuole private del paese, colpevoli di aver infestato Westminster e dintorni di personaggi poco raccomandabili ma dall’autostima a prova di bomba. Certo, un terzo dei primi ministri della storia del Regno Unito è stato formato in public schools come Eton e Boris sarebbe il ventesimo a passare da Eton a Downing Street, ma, grandi o piccole che siano, le scuole private sono in cima alla lista dei desideri di un paese così mesmerizzato dalle sue élites da essere, non a caso, una monarchia.

 

Ben venga una bella riforma, ma siamo sicuri che il Labour – in agonia, ricordiamolo, e alle prese con la battaglia storica della Brexit – abbia bisogno di ripartire da qualcosa di così radicale come la proposta di espropriare i beni delle scuole e inserirli nella rete statale? Il problema, semmai, è che queste istituzioni, raccontate così bene da film, libri e non da ultimo nella saga di Harry Potter, continuano a godere di benefici fiscali e statuti di charity difficili da giustificare con rette di 50 mila euro all’anno (o 20 mila euro nel caso dell’ultima delle ambitissime scuole private di Londra) e un successo in espansione anche tra gli stranieri che sognano di avere per casa tanti piccoli Lord Fauntleroys. Più che a un’istruzione di ferro – per quello bisogna andare in Corea, soffrire, rovinarsi in ripetizioni di matematica – queste scuole danno accesso a una rete di contatti inespugnabile per chi viene da fuori, come ha avuto modo di sperimentare la povera Theresa May, studentessa così brava da essere ammessa in una di quelle grammar schools, statali ma selettive, a cui il Labour ha fatto la guerra in altri tempi in nome dell’egualitarismo. Nel tentativo di fare qualcosa di sinistra, questa volta ha deciso di presentare una mozione da introdurre nel prossimo manifesto elettorale e lo ha fatto con l’hashtag #AbolishEton – visto che non possiamo battere Boris Johnson, bruciamogli la scuola – rischiosa polarizzazione in un paese spaccato che ha perso il suo centro.

 

“Se il Labour vuole tornare a essere un partito ribelle e contro l’establishment, la lotta alle scuole private è un buon punto di partenza”, ha commentato l’ideologo Owen Jones, senza però spiegare come il Labour possa tornare magari anche a vincere. La leggenda narra che Jeremy Corbyn, che ha ricevuto un’istruzione privata, sia stato lasciato dalla moglie quando si è rifiutato di mandare il figlio in una public school e in molti, a sinistra, cercano di essere altrettanto coerenti. E magari meno crudeli verso i propri figli, che poi vengono fuori con un po’ troppo sadismo subìto e da riversare sugli altri: sono storie di infanzie fredde, di solitudini – “ci ho passato cinque anni, vivendo nell’attesa del giorno in cui sarei partita”, ha raccontato Rachel Cusk, che ha sperimentato la forma estrema della boarding school.

 

Per qualche anno della Brexit sul banco degli accusati c’è stata Oxford e quell’antica tradizione di abituare gli studenti a difendere una tesi e il suo contrario con pari convinzione. Ma Oxford e Cambridge sono eccellenze, arrivano dopo: la domanda che il Regno Unito si fa al momento è come sia stato possibile avere due aspiranti premier così posh, di cui uno, Hunt, è addirittura imparentato con la regina. La risposta del Labour è di mettere un tetto alla partecipazione degli ex alunni ai vari settori della vita pubblica: visto che sono il 7 per cento della popolazione, che siano anche il 7 per cento dei medici e dei giudici, e non il 52 per cento come avviene attualmente. L’aveva già proposto Robert Varvaik nel suo Posh Boys in cui, invece di un’abolizione controproducente, suggeriva un lento soffocamento per sottrazione progressiva di risorse. Ma il sistema risponde a qualcosa di ancestrale (la prima scuola privata è del 1392) e ha dimostrato che il popolo della Brexit non si fa problemi a farsi guidare da personaggi alla Farage e alla Rees-Mogg: odia i burocrati e gli esperti più dell’elite, gli inglesi sono fatti così. E la lotta di classe va bene, purché sia middle class.