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Il fantasma russo sulla campagna Brexit

Paola Peduzzi

Uno scoop chiuso in mansarda, mentre noi eravamo fuori a cacciare unicorni

Due giornaliste, uno scoop rubato, la connection russa che tutto contagia (comprese le storie d’amore), una mansarda con dentro scatoloni mai aperti, un hackeraggio, la Brexit. Un altro capitolo del romanzo del divorzio del secolo – quello tra il Regno Unito e l’Unione europea – è stato pubblicato domenica in contemporanea su due giornali, con modalità diverse e un unico messaggio: i rapporti tra la campagna pro Brexit e la Russia sono più pericolosi, e intimi, di quanto si pensi. Al centro delle ultime rivelazioni c’è Arron Banks, grande sponsor dell’indipendentista Nigel Farage, magnate molto riservato sull’origine di tanta ricchezza, ex conservatore passato all’Ukip (celebrò il suo trasferimento con una donazione da un milione di sterline: c’è chi sostiene di non sapere chi io sia, disse allora, ora spero sia chiaro per tutti), il primo straniero a incontrare Donald Trump dopo la vittoria (Banks era assieme a Farage, lo scatto è quello celebre con lo sfondo dorato), moglie russa conosciuta molti anni fa mentre sognava un visto, cinque figli, vivono tutti insieme a Bristol.

 

Banks, che oggi deve testimoniare ai Comuni, ha avuto contatti e conversazioni con interlocutori russi di varia natura – funzionari, attaché diplomatici, mezze spie – e non aveva mai fatto mistero di questa sua passione russa: dagli articoli pubblicati domenica sembra che le sue chiacchiere siano state ben di più e ben più frequenti rispetto a quelle finora ammesse, così la connessione tra la Brexit, di cui Banks è sostenitore accanito, e la Russia diventa più profonda. Ma quanto? Qui entrano in gioco le due giornaliste al centro dello scoop, una che aveva in mansarda la documentazione degli incontri tra Banks e i russi, l’altra che invece quei documenti li ha cercati e trovati. La prima è Isabel Oakeshott, ex capo della redazione politica del Sunday Times, autrice di molti saggi (tra cui una biografia non autorizzata dell’ex premier David Cameron, “Call me Dave”) e ghostwriter di Banks per il libro “The Bad Boys of Brexit”, che racconta come la campagna del leave è riuscita a imporsi nel referendum sull’uscita dall’Ue.

 

Proprio lavorando a quel libro, la Oakeshott, tenace sostenitrice della Brexit, è venuta in possesso dei documenti che testimoniano le relazioni tra Banks e i russi: in un articolo sul Sunday Times domenica ha raccontato di non aver mai guardato lo scatolone famoso nella sua mansarda, ma di essere stata vittima di un attacco hacker su alcuni suoi account di posta e di aver collegato l’intrusione allo scatolone, e di aver così deciso di controllare tutto. Poiché sta scrivendo un altro libro che uscirà in autunno (si intitola “White flag?”), la Oakeshott voleva con tutta probabilità utilizzare il materiale di cui era in possesso (non aveva accordi con Banks sul suo utilizzo) per il suo saggio, ma tra l’hackeraggio e le tante sulla questione russa nel Regno ha infine deciso di dare lo scoop al Sunday Times. Nel frattempo però Carole Cadwalladr, che lavora all’Observer ed è stata di recente l’autrice dello scoop sulle attività della Cambridge Analytica, è venuta a conoscenza di quel materiale, ha chiesto venerdì scorso un commento in proposito a Banks, il quale ha risposto in tarda serata dicendo che fino al lunedì successivo non avrebbe potuto rispondere. La Cadwalladr ha deciso di pubblicare la sua inchiesta sull’Observer senza le dichiarazioni di Banks, e ha scoperto nella notte tra sabato e domenica che il Sunday Times l’aveva bruciata: o meglio, che la Oakeshott l’aveva bruciata.

 

Il tempismo è sospetto, dice la Cadwalladr, lo scatolone è in mansarda da mesi e ora diventa rilevante? Come hai fatto ad avere quel materiale, replica indispettita la Oakeshott, non è che c’entri qualcosa con l’hackeraggio? Le due si combattono da lontano, sono rappresentanti di due mondi diversi e opposti, che sono poi l’anima spezzata a metà del Regno Unito, in comune hanno determinazione e bionditudine, e forse rischiano di finire nella stessa trappola. Un paio di mesi fa la Oakeshott e Cadwalladr si ritrovarono sedute sullo stesso divanetto del salotto televisivo di Andrew Marr, parlavano della Cambridge Analytica, delle connessioni tra Trump, la Brexit, la Russia, e non trovandosi su nulla, una disse all’altra: mi sembra che stai dando la caccia agli unicorni. Ma forse lo stanno facendo entrambe, forse lo facciamo tutti: cacciamo unicorni, intanto perdiamo il fiato.

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi