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Addio cinepresa

Ancora un film e poi libri. Quel geniaccio di Tarantino s'è trovato un altro mestiere

Mariarosa Mancuso

“The Movie Critic” sarà il suo ultimo lungometraggio: la storia di un cronista dal pessimo carattere che recensisce film per un giornale porno. Ora che al cinema sembrano esserci solo supereroi, il regista passerà al lavoro molto meno faticoso di scrivere

Dieci e non più dieci. Lo sapevamo da un po’. Quentin Tarantino non avrebbe più girato altri film, dopo “The Movie Critic” – le riprese inizieranno a settembre. Il totonomi ha puntato altissimo, come se il regista e sceneggiatore non sapesse inventare un personaggio. Sarà ispirato a Pauline Kael, critico del New Yorker – dicevano. Ma figuriamoci, la nobiltà del mestiere: avete mai visto un film di Tarantino? E’ invece la storia di un cronista dal pessimo carattere che recensisce film per un giornale porno, fine anni Settanta. Finito il decimo film, si metterà a scrivere libri. Era ad Antibes per ricevere un premio letterario intitolato a Francis Scott Fitzgerald – galeotto fu “Cinema Speculation”, che in Francia ha venduto 10 mila copie, e in Italia 25 mila, edito da La Nave di Teseo – quando il giornalista di Libération Guillaume Gendron gli ha fatto il terzo grado (sul numero di sabato). Tanto risulta bizzarro il passaggio dalla regia alla scrittura: di solito sono i critici come François Truffaut o Olivier Assayas che dalla scrittura passano al set – va detto, con alterni successi. Né si sa di registi o attori hollywoodiani che in possesso di tutte le facoltà abbiano annunciato il ritiro. Da Orson Welles a Buster Keaton si sono persi tra film mai fatti, ruoli minori, miserie varie.

 

Per libri, Tarantino intende libri di critica. Parola sovrastata da una nuvoletta di scarsa simpatia, come la nuvola di Fantozzi che fa piovere solo sulla sua Bianchina. A lui i film piace farli, e sottolinea che in questi anni ha raccontato le storie che voleva raccontare. Ma al cinema gli piace anche guardare i film degli altri, chiacchierare e discutere. Purtroppo delle parole non resta traccia, anche se sono meglio di niente. Da qui la voglia di scrivere altri libri che raccontino ai posteri le ossessioni e le idiosincrasie di un regista cresciuto in un videonoleggio, tra clienti maniacali come lui. Racconta di scrivere a mano la prima stesura, copiare al computer e lavorarci finché non è davvero soddisfatto: “Quel che scrivo di getto somiglia alle stronzate lette su internet”. Dove siete aspiranti tarantiniani che piazzate schizzi di sangue qua e là, restando analfabeti? E dove sei Nanni Moretti, che davanti al sangue e alla violenza – anche finta, anche coreografica, anche accompagnata dai dialoghi più smaglianti mai sentiti al cinema in questi anni – vorresti tanto dire “vade retro Satana!”. Ma non si può, perché non crediamo a queste cose.

 

Prima ragione: “I registi non migliorano invecchiando”, insiste Tarantino. Le altre nove vorrebbe tenerle per sé, dopo aver dato trent’anni della sua vita al cinema. Si capisce che vuole fissare le sue condizioni (anche se onestamente non può dire di essere stato ingabbiato o costretto a girare film che non gli somigliavano). Tra l’invidia dei colleghi, lascerà dietro di sé – con “The Movie Critic”, immaginate il tassista Robert De Niro che si mette a recensire film, l’immagine è made in Tarantino – dieci titoli che rasentano la perfezione. Si è trovato un mestiere alternativo ora che al cinema sembrano esserci solo supereroi – “C’era una volta a Hollywood” era l’unico film originale nell’estate del 2019. Scritto appositamente per il cinema, il romanzo (sempre La Nave di Teseo) è venuto dopo. I nerd hanno vinto: era il suo sogno da ragazzino, ma sentirselo dire a 60 anni non è una grande notizia. Tarantino vuole smettere al massimo della forma – scrivere è un lavoro molto meno faticoso che dirigere un set, ora poi che tutti hanno l’offesa facile. E osa il pessimismo che nessuno vuol sentire: esisterà ancora il cinema tra qualche anno?

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