Foto (del 2022) di Damian Dovarganes, AP Photo, via LaPresse 

disastri annunciati

Broncio a Hollywood. Se gli sceneggiatori scioperano in America, ce ne accorgeremo a Cannes

Mariarosa Mancuso

Se va in porto l'iniziativa, l'industria del cinema americano resta paralizzata. E i suoi effetti possono compromettere i festival. Non solo quello francese, ma anche Venezia o Toronto

Stanno votando. Hanno cominciato l’altro ieri, al netto del fuso orario, e  andranno avanti fino a lunedì prossimo. In ballo c’è uno sciopero per il rinnovo del contratto: la Wga – Writers Guild Association – intende scioperare contro la Amptp. Sciogliendo e traducendo, l’Associazione degli sceneggiatori – o corporazione, o sindacato, o addirittura gilda, il termine ha fatto un lungo viaggio dal medioevo a  noi – ha un contenzioso con la Alliance of Motion Picture and Television Producers, che riunisce 350 produttori di film e tv.

Lavoratori piuttosto arrabbiati contro datori di lavoro. Il vecchio contratto scade il primo maggio, se gli sceneggiatori voteranno per lo sciopero potrebbe ripetersi il “fermo pesca” di 15 anni fa. Cento giorni di sciopero dei pesci piccoli (ma  ci sono anche i grandi che meglio se la passano), Hollywood paralizzata. Uno sceneggiatore in sciopero non solo non scrive (film, show, episodi di serie). Non può neppure andare sul set a sistemare un copione già scritto – tante cose possono aver bisogno di un’aggiustatina. Non può farlo al posto suo neppure il regista, le rigide regola della Wga lo vietano: il copione è dello sceneggiatore che l’ha firmato.  

Questa è la regola. Ecco perché poi girano le battute secondo cui “l’unico sceneggiatore buono è quello morto”; oppure un classico come Shakespeare a cui puoi fare di tutto senza che venga a protestare sul set – magari fingendo di essere lo spettro di Banquo. Niente scrittori, niente da produrre, niente con cui alimentare famelici palinsesti e piattaforme.  

Il disastro potrebbe abbattersi sul Marché du Film di Cannes, il prossimo maggio, dove si fanno accordi di coproduzione e vendita. Ma se i copioni non sono finiti tutto ritarda, e i set estivi – pregiati per via delle ore di luce, anche se in  studio ci sono maggiori (ma costose) possibilità tecniche – rischiano di saltare. Chi  può, sposta avanti le date, con il rischio di perdere nella manovra il cast (che ha  firmato altri contratti per quel periodo); la troupe (che ha un suo calendario di  lavoro organizzato); e pure la location (le stagioni cambiano, possono arrivare le piogge). Se il film non è finito in tempo, sfumano i festival di Venezia o Toronto.  

Screen International romanticamente illustra l’articolo con una macchina da scrivere, foglio bianco inserito e dieci dita sulla tastiera. Più simile alla realtà è il tavolo di lavoro nella serie “30 Rock” di Tina Fey: cazzeggio, snack, e  miracolosamente la puntata è pronta. Ma cosa chiedono gli sceneggiatori? Soldi, anzitutto. Lo streaming ha cambiato – in peggio – contratti e paghe degli sceneggiatori. La filiera è più corta, quindi si riducono anche i diritti “residual” – per esempio, un film per il cinema che poi usciva in Dvd. I prodotti vanno sulla piattaforma streaming e lì rimangono.

Gli sceneggiatori patiscono lo scarso numero di episodi per stagione: sei o dodici,  invece dei ventidue/ventiquattro dei tempi d’oro. Rifiutano il troppo frequente uso delle “mini room”: gruppi di scrittori riuniti per buttar fuori idee, prima che una serie cominci. Poi arrivederci e grazie, il rispettabile mestiere di sceneggiatore diventa un lavoro a  chiamata: benvenuti nella gig economy. Da regolamentare, anche i testi scritti con l’IA – pensate al copione di un talk-show, davvero serve un umano? Altra cattiva notizia: potrebbero scioperare anche i registi della Dga (pure loro  con contratto in scadenza) e a parte le star sono scontenti anche gli attori. A Hollywood vorrebbero spostare le riprese all’estero. Subito il sindacato degli attori britannici ha vietato ai suoi di lavorare in produzioni americane. Non faranno i crumiri.  

Di più su questi argomenti: