Una scena di Metropolis, film muto del 1927 diretto da Fritz Lang 

Hollywood non teme l'IA

Mariarosa Mancuso

Sceneggiatori artificiali utili per "unire i puntini" e deep-fake digitali. Il cinema americano non è spaventato, come noi retrogradi e luddisti, per le nuove possibilità tecnologiche

Ebbene sì. ChatGPT può scrivere sceneggiature, oltre agli articoli scritti per il gioco a premi del Foglio. Non aspettatevi l’originalità. Ma un onesto lavoro “by the book” – ovverosia seguendo il manuale d’istruzioni – riesce all’intelligenza artificiale brillantemente, avendo incamerato più esempi di quanti noi ne possiamo leggere in una vita. 
    

Lo sceneggiatore artificiale “unisce i puntini”. Pensate a certe commedie rosa, dove ormai i futuri innamorati non riescono neppure a litigare come da tradizione prima di convolare a nozze. Scaramucce e dibattiti possono oggi avere per oggetto solo il gusto dei cioccolatini. Tutto il resto – altezza, religione, aspetto fisico, colore della pelle – potrebbe essere offensivo. Oppure pensate ai supereroi, variazioni (neanche tanto originali o astute) su un unico canovaccio. 
      

Non è l’unico aspetto dell’intelligenza artificiale che attrae Hollywood. Robert Zemeckis ha annunciato che nel suo prossimo film “Here” userà i deep-fake digitali – sì, quelli che si usano per il porno, mischiando corpi e facce – di Tom Hanks e Robin Wright, ringiovaniti per l’occasione grazie a un programma di AI visuale: Metaphysic Live. La storia viene da una graphic novel di Richard McGuire: tutto in una stanza, entrano e escono i personaggi che la abitano, la abiteranno, l’hanno abitata nel futuro.  
       

A Hollywood non sono spaventati, come noi retrogradi e luddisti, per le nuove possibilità. Attendono con fiducia un salto tecnologico paragonabile all’avvento del sonoro o del colore. Maria Chmir, fondatrice e ceo di Deepcake, parla di un algoritmo capace di generare “doppi” digitali molto realistici – sullo schermo indistinguibili dall’originale. Prevede che nel prossimo futuro ogni attore o attrice avrà la sua “controfigura artificiale” per le scene pericolose. O per sdoppiarsi, partecipando a più progetti in contemporanea. 
      

Utile anche in caso di morte o malattia dell’attore, continua Maria Chmir. Non c’è bisogno di trovare un altro attore somigliante, e truccarlo pesantemente. Invece di rigirare le scene con Kevin Spacey in “Tutti i soldi del mondo” – affidando la parte di Paul Getty a Christopher Plummer – Ridley Scott avrebbe avuto a disposizione la controfigura digitale dell’attore accusato di molestie.
    

Deepcake ha già creato un Bruce Willis digitale, usato in una serie di spot per i russi di MegaFon. Trentaquattromila foto, e il consenso dell’attore. Che ora è malato, e forse la famiglia revocherà il consenso. Per assurdo, un Elvis Presley digitalmente ricostruito potrebbe recitare nel suo biopic. Si può fare, ormai si può fare quasi tutto. Ma ci saremmo persi la magnifica performance di Austin Butler. Un attore strepitoso, invece di uno stupido clone digitale.

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