Foto di Wu Hao, via Ansa  

eccezione italiana

La chiusura preventiva di ChatGPT in Italia è un unicum in occidente

Carlo Alberto Carnevale-Maffè

Il metodo italiano seguito dal Garante non è stato propriamente ispirato ai principi liberali. Ecco quali sono le differenze rispetto agli Stati Uniti e al Canada

La burocrazia naturale della privacy fa un autogol. Per cercare di mettere una toppa diplomatica al buco della discutibile decisione di bloccare, primo e tuttora unico paese occidentale, l’accesso degli utenti italiani alla piattaforma di intelligenza artificiale generativa ChatGPT, la sempre solerte Autorità per la tutela dei dati personali ha ritenuto di illustrare sui social media le azioni intraprese da altre autorità internazionali sullo stesso tema. Peccato che citando i casi dell’attenzione rivolta a ChatGPT alle istituzioni di sorveglianza di Canada e Usa, l’Autorità evidenzi la chiara differenza del metodo seguito, e quindi enfatizzi ancora di più i profili di criticità della propria decisione di bloccare il servizio in Italia.

In Canada, l’Office of the Privacy Commissioner ha effettivamente aperto una procedura di indagine su OpenAI, ma lo ha fatto in risposta a una pervenuta denuncia relativa alla raccolta, all’uso e alla divulgazione di informazioni personali senza consenso. Non si è trattato quindi di un motu proprio, ma di una doverosa risposta a una denuncia pervenuta. E l’apertura dell’istruttoria, impeccabile dal punto di vista del metodo, non è stata accompagnata, e tanto meno preceduta – come invece successo in Italia – dal blocco preventivo dell’accesso al servizio. “Dobbiamo stare al passo con la rapida evoluzione dei progressi tecnologici e persino stare al passo con i tempi”, ha detto il commissario canadese per la privacy, Philippe Dufresne. Stare al passo, appunto, non mettere i bastoni tra le ruote.

Anche negli Stati Uniti OpenAI è stata oggetto di un reclamo presentato alla Federal Trade Commission (Ftc) statunitense dal Center for AI and Digital Policy (Caidp). La denuncia invoca un’indagine su OpenAI e sui modelli linguistici utilizzati da ChatGPT, evidenziando la possibile violazione della normativa Ftc e delle linee guida per i prodotti IA. A seguito del reclamo pervenuto, non risulta che la Ftc abbia seguito le orme dell’omologa autorità canadese, e certo non ha bloccato il servizio negli Stati Uniti in modo unilaterale, preventivo e senza nemmeno consultare l’azienda. Come invece ha fatto la solerte Autorità italiana.

L’agenzia di stampa Reuters, nel frattempo, riporta rumors – ma finora nessuna decisione ufficiale – sul presunto interesse espresso da Francia, Germania e Irlanda, tramite le rispettive autorità di protezione dei dati, nel valutare l’opportunità di interfacciarsi con il Garante italiano sull’indagine aperta rispetto alla piattaforma, che ha confermato pubblicamente di non aver avuto alcuna interlocuzione né dialogo preventivo con l’autorità italiana prima di diventare oggetto del blocco.

Nel frattempo, gli utenti italiani si stanno arrangiando per aggirare il divieto di accedere a ChatGPT: dopo lo stop alla piattaforma si registra un boom di accesso alle Vpn (Virtual Private Network), che sale di circa il 400 per cento nei primi giorni di aprile (fonte: AtlasVpn).

L’Autorità, comparandosi alle scelte delle omologhe istituzioni internazionali, fa quindi emergere implicitamente l’evidenza che il metodo adottato in Italia non è stato propriamente ispirato ai princìpi liberali, che avrebbero richiesto un’interlocuzione preventiva e un’indagine conoscitiva con diritto di contraddittorio, invece di un blocco preventivo senza né raccolta né esibizione pubblica di chiare evidenze a sostegno.

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