Autogol

La crociata del Garante contro ChatGPT allontana l'innovazione dall'Italia

Carlo Alberto Carnevale Maffè

L'Italia si dimostra ancora una volta prima al mondo nell’interpretare il ruolo di baluardo della conservazione. L'ennesima guerra contro gli insolenti rivoluzionari della tecnologia: peccato che a uscirne sconfitto è tutto il paese

Detto fatto. Il solerte Garante per la privacy italiano mette il bavaglio a ChatGPT e così, primo al mondo per finissima sensibilità tecnologica e istantanea reattività giuridica, risponde al grido di allarme di Elon Musk e degli altri firmatari della lettera-appello a imporre, se necessario per via legale, una moratoria allo sviluppo delle nuove piattaforme di intelligenza artificiale generativa, come appunto ChatGPT e GPT-4. Come si permettono, questi pretenziosi e arroganti algoritmi sperimentali, di non predisporre l’apposito modulo informativo sulla tutela dei dati personali, da controfirmare preferibilmente in duplice copia cartacea e da conservare per dieci anni in archivio, per eventuali doverose ispezioni? ChatGPT è arrivata in pochi mesi ad avere circa 13 milioni di utenti medi giornalieri, che ci vorrà mai?

 

Spiegare in un agile modulo informativo come funziona l’utilizzo di qualche petabyte di dati in un modello di elaborazione del linguaggio naturale non è mica complicato come il rinnovo di un passaporto. Ma soprattutto come mai OpenAI, l’azienda che ha sviluppato la piattaforma, non ha provveduto a predisporre una dotta e articolata base giuridica che giustifichi la raccolta, l’elaborazione e la conservazione di dati personali, allo scopo di “addestrare” gli algoritmi generativi che dialogano con gli utenti? E perché non ha chiesto preventivamente l’autorizzazione al Garante italiano, che si sarebbe ovviamente riservato un adeguato tempo per la valutazione, prima di procedere a sperimentare queste minacciose tecnologie che rischiano – lo scrive perfino Musk, eh – di mettere a repentaglio la sicurezza e il futuro dei cittadini, se non addirittura delle istituzioni democratiche universali? L’occhiuta autorità italiana per la tutela dei dati personali, che ha virilmente opposto le ragioni della legge nazionale alle futili esigenze di velocità e praticità dell’innovazione tecnologica globale, ha fatto immediatamente parlare di sé tutti i media mondiali.

 

E grazie a questo tempestivo intervento l’Italia si dimostra ancora prima al mondo nell’interpretare il ruolo di baluardo della conservazione, essendo d’ogni italico guerrier l’usbergo perfetto contro gli strali dell’inaccettabile disordine indotto dalla sperimentazione e della ricerca scientifica, per prevenire le minacce all’ordine costituito derivanti da questi insolenti rivoluzionari della tecnologia. E i risultati si vedono: l’Italia cartacea e sovrana, difesa dalle infiltrazioni tecnologiche di questi pericolosi innovatori, è già orgogliosamente ultima tra i paesi Ocse, insieme alla Grecia, per quota di occupati con skill di intelligenza artificiale: sono solo lo 0,2 per cento (fonte: Ocse, 2023). Il messaggio è dunque chiaro: anche quei pochissimi e isolati avventurieri dell’algoritmo, che oggi si ostinano ad avventurarsi sul terreno di queste tecnologie così pericolose per la privacy dei cittadini, sono invitati a sloggiare da questo paese. Si ripresentino solo dietro autorizzazione preventiva delle autorità competenti, con tutti i moduli compilati. Questo non è il paese dell’intelligenza artificiale, bensì quello della burocrazia naturale.