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Storytelling vincente

Riguardare oggi “Occupied”, la serie che mostra la Norvegia occupata dai russi. Paura

Mariarosa Mancuso

Una piccola nazione, un vicino potente e il resto del mondo che si barcamena tra questioni etiche, economiche e di sicurezza. Come la serie tv Netflix sembra parlare del conflitto ucraino

Il governo russo ha gentilmente promesso il suo aiuto alla Norvegia”. “Gentilmente non sembra tanto nello spirito russo”, avrà pensato qualche spettatore del 2015, quando la prima stagione di Occupied fu mostrata al pubblico norvegese. Due anni dopo è arrivata la seconda stagione della serie, anche questa su Netflix – se volete vedere un esercizio di fantapolitica assai spaventoso. (Ne esiste una terza, ma sulla piattaforma – che pure l’aveva annunciata – non si trova).  

Lo spettatore del 2022 che ascolta le notizie dall’Ucraina alle parole “un gentile aiuto da parte dei russi” capisce che c’è  solo da aver paura. L’escalation nella serie procede veloce, altro che “velvet occupation”: i russi assaltano una piattaforma petrolifera, ridisegnano i confini, obbligano la Norvegia a ricominciare la produzione di petrolio e gas. Aveva rinunciato ai combustibili fossili dopo il tremendo uragano “Maria”: una catastrofe ambientale con migliaia di vittime, causata dal riscaldamento climatico.

Niente più petrolio e niente più gas. I titoli di testa disegnano il panorama di quel “futuro prossimo”. Non arriva più petrolio dall’instabile medio oriente. Gli Stati Uniti hanno raggiunto l’autosufficienza energetica e sono usciti dalla Nato (il passaggio non è chiarissimo, forse qualcosa è andato perduto nei sottotitoli). L’Europa è in piena crisi, priva di energia.

Il primo ministro norvegese eletto dopo l’uragano punta sul nucleare e il torio (esiste, ha il numero atomico 90, e prende il nome da Thor, che era il dio norvegese del tuono – prima di trasferirsi con il suo martello nei fumetti Marvel). Per evitare il disastro, l’Unione europea chiede aiuto ai russi, che – nella serie – gentilmente corrono in soccorso. Nella realtà – scrive sul Guardian Jo Nesbø, celebre giallista e ideatore della serie – i russi non l’avevano presa tanto bene. L’ambasciatore aveva protestato perché ricorrevano i 70 anni dalla fine della Seconda guerra mondiale, e veniva trascurato l’eroico ruolo dei russi nella liberazione della Norvegia dai nazisti. Trovava molto scortese immaginare una minaccia “attuale” in arrivo dall’est.

“Forse l’ambasciatore era suscettibile perché la Russia l’anno prima si era annessa la Crimea”, commenta Jo Nesbø. Secondo lui, Occupied non dice niente sui russi, come Lo squalo di Spielberg non diceva niente sui pescecani (il paragone è piuttosto maligno, bisogna ammetterlo; ma poi lo scrittore sostiene che i suoi russi sono meno brutali che non al cinema).

Jo Nesbø torna sulla serie (l’articolo era ieri sul Guardian) per ribadire il potere che hanno avuto e sempre avranno le storie. Infastidiscono i potenti, e rafforzano lo spirito di chi ai potenti si oppone, rischiando la vita. Ridicolizzato per anni da sapientoni che lo detestavano quasi quanto oggi odiano la Nato, usato più che altro come arma per sminuire gli avversari – lo storytelling conserva la sua potenza e la sua utilità. Basta ascoltare gli ultimi discorsi del coraggioso e abilissimo Zelensky: al Congresso americano parla dell’11 settembre (“in Ucraina ne abbiamo uno ogni giorno”), al Parlamento tedesco parla di muri e ripete “mai più”.

“Volevo studiare il comportamento delle persone normali in una situazione estrema”, scrive Jo Nesbø. Una situazione simile a quella che i nostri genitori e i nostri nonni hanno affrontato durante l’occupazione tedesca della Norvegia, tra il 1940 e il 1945. Una piccola nazione, un vicino potente, il resto del mondo che si barcamena tra le questioni di principio, le considerazioni economiche, e la propria sicurezza”. Occupied sembrava ieri una serie. Oggi somiglia di più a uno stress test.
 

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