La guerra dei bambini spiegata con Tarkovskij

Rivedere l'Infanzia di Ivan, film del Disgelo, oggi

Maurizio Crippa

C'è qualcosa di assoluto nella guerra dei bambini, dei ragazzi. Le fotografie drammatiche che vediamo in questi giorni, la fotografia che (forse) è solo denuncia della bambina con fucile e lecca lecca. Il film capolavoro di sessant'anni fa del grande regista russo spiega qualcosa che va nel profondo

Risolverla uno contro uno, magari in una radura tra le betulle, una sfida di arti marziali come in un gioco di bambini o in un racconto di cosacchi. Se anche non fosse vero, il guanto di sfida di Elon Musk (“con la presente sfido Vladimir Putin a duello, uno contro uno. La posta in gioco è l’Ucraina”) ha la forza di illuminare per un attimo, come un bengala sulla superficie nera e lucida di un fiume – il Dnepr, mettiamo – un aspetto selvaggio, infantile nel senso di istintivo, implacabile, della guerra che si combatte sul suolo dell’Ucraina invasa. Ma null’altro c’è di giocoso. Ci sono invece le notizie, le immagini, del coinvolgimento nella guerra – vittime, ma anche combattenti – di bambini e ragazzi. Bambine. Che fa pensare, come in ogni guerra territoriale – ogni guerra combattuta palmo a palmo per la conquista di città, paesi, di campi e boschi che per chi si difende sono “casa”, “patria”, terra dell’infanzia, terra madre – a un coinvolgimento emotivo, indomabile.

Ancora ieri, su molti giornali, non mancavano le fotografie dei bambini di guerra. Su Repubblica, una bambina che sembra voler chiedere alla sua bambola se fidarsi a scendere dall’autobus e affidarsi alle mani di un soldato russo. Primi di tutti Polina e Semyon, uccisi per strada. Poi i fratelli in fuga con i genitori falciati a Irpin. Ma ha fatto il giro del mondo anche una fotografia postata su Facebook la cui didascalia è: “Young girl with candy”. O meglio, nella precisazione dei giornali: “Bambina ucraina con in braccio un fucile e in bocca un lecca lecca”. Non è dato sapere se abbia sparato davvero, se combatta davvero. Probabilmente no, la foto le è stata scattata dal padre, un messaggio lanciato al mondo. Ma come la baldanza cosacca di Elon Musk, l’immagine di quella bambina con candy e fucile affonda in una tragedia che sappiamo attuale e antica. In questo momento, in questa precisa guerra, in questo luogo preciso. Dentro a una terra – l’Ucraina, ma anche la Russia, quando erano Unione sovietica, quando c’era il comune nemico nazista di là dal  Dnepr – in cui  infanzia e combattimento, giovinezza e guerra sono molto più legate di come siamo soliti percepirle noi, civiltà vecchia di continente invecchiato.

In questo preciso momento, in questa precisa guerra, tornano agli occhi le immagini e la vicenda di L’infanzia di Ivan. Il film d’esordio che Andrej Tarkovskij girò nel 1962 e che vinse il Leone d’oro a Venezia. L’infanzia di Ivan racconta la Seconda guerra mondiale (la Guerra patriottica, nella versione ufficiale di Stalin, che anche i russi che a Stalin si opponevano furono costretti ad accettare, a combattere, per amore di patria) sulle rive acquitrinose del Dnepr, tra il fiume che esonda in mezzo agli alberi, il fango e i boschi di betulle spoglie nel disgelo. E’ un film del disgelo crusceviano, per la precisione: lo strazio della guerra può trovare finalmente parola, fuori dalla retorica bellicista. Ma è il film di Ivan, innanzitutto. Biondissimo, gli occhi chiarissimi.

Inizia con un sogno all’indietro, di felicità: “Mamma, là c’è un cuculo”, è la prima battuta. E’ un ricordo, la madre e la campagna. Poi ci sono solo il fango, la notte, la paura e la guerra. Uccisi dal nemico i genitori, Ivan è diventato un prezioso esploratore, invisibile e imprendibile, per l’esercito russo. E’ andato a nuoto nottetempo “sull’altra riva” dove sono i nazisti. Ha riportato informazioni preziose. Vuole combattere. Solo combattere, con un coraggio da adulto, feroce. Non vuole riposare, non vuole dormire. Quando dorme gli urlano in mente scene di morte, le voci di chi grida “vendicateci!”. O gli occhi della madre, la luce della campagna, l’estate. Non sarebbe cosa da ragazzi, la guerra. Non lo è. Persino i soldati russi si sono affezionati, fanno di tutto per convincerlo ad andare via dal fronte, alla scuola militare. Chissà, dopo la guerra qualcuno di loro lo adotterà, lo riporterà alla sua dimensione di infanzia perduta. Ma Ivan non può, c’è la guerra e basta, una necessità indomabile di vendetta. Attraversa ancora il fiume, di notte. L’altra riva. Girato in un bianco e nero tagliente, metallico, L’Infanzia di Ivan non è un film di guerra da realismo socialista. Gli occhi di Ivan sul nero specchio del fiume sono infinitamente chiari, la natura ha qualcosa di assoluto. Ivan e la natura hanno la stessa forza indomabile, un po’ come l’anima russa. O ucraina: in quel tempo un nemico comune sfumava le differenze, come i sogni tra le betulle.

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  • Maurizio Crippa
  • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

    E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"