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Licenza di discriminare (ma solo su carta)

Nei romanzi, 007 guariva le lesbiche ed era razzista. Oggi Fleming non avrebbe potuto scriverli

Salvatore Merlo

La spia inglese del cinema è diversa da quella dei romanzi. Fortuna che gli adepti del pol. corr. non hanno letto i libri: ci toglierebbero anche il fascino del grottesco

Ian Fleming era pressoché convinto che dall’omosessualità si potesse guarire, o almeno attribuiva al super maschio James Bond questa straordinaria capacità curativa che evidentemente si accompagnava anche al brivido inconcepibile – per un uomo nato nel 1908 –  che a una donna potesse piacere un’altra donna. Nel finale di “Goldfinger”, divertente romanzo del 1959 recentemente ripubblicato (purtroppo con scarso successo) in una lussuosa edizione Adelphi, Bond va a letto con la bellissima e cattiva Pussy Galore. Una giovane donna che oltre a essere un gran pezzo di Pussy è anche omosessuale, o almeno lo è fino a pagina 294 del romanzo, cioè fino al momento in cui non è finita provvidenzialmente a letto con Bond. E infatti subito dopo l’amplesso, con lei ancora accoccolata tra le sue braccia, ecco che 007 si accende una sigaretta, la guarda negli occhi violetti e le chiede non meno stupito di noi: “Ma a te non piacevano le donne?”. Ed è solo a questo punto che Pussy, con una voce che Fleming descrive  “né da gangster né da lesbica”  dà una risposta surreale: “Non avevo mai conosciuto un uomo”. Bum! Arrivati a questo punto i fanatici della cancel culture e del credo Woke magari chiederebbero la censura, la cancellazione dagli archivi digitali, il rogo del volume, il ritiro da biblioteche e librerie.

 

Forse però, per fortuna, non leggono. A noi infatti, il deflagrare di una siffatta scena grottesca, mentre Bond sembrava ormai Alberto Sordi, ha provocato una risata, scortata da un pensiero altrettanto ridanciano rivolto alle  critiche surreali di machismo, sessismo e quant’altro che piovono invece addosso al correttissimo Bond cinematografico, insomma a quello interpretato un tempo dall’ironico Sean Connery e oggi da Daniel Craig, cioè lo 007 più tormentato e piagnone della storia. In una scena dell’ultimo film, “No Time to Die”, per dire, si vede Craig-Bond  a bordo della sua Aston Martin mentre costeggia il mare. Ecco che Bond rallenta la corsa del bolide, lo umilia fin quasi a fermarsi, e dice teneramente alla sua bella: “Guardiamo il tramonto, non c’è fretta”. Una cosa che lo 007 di Fleming avrebbe certamente liquidato con questo pensiero, da lui in effetti espresso a pagina 251 di Goldfinger: “Il risultato di cinquant’anni di emancipazione è che le qualità femminili stanno morendo, o migrando nei maschi”.

In pratica il Bond di Fleming, un trentenne della fine degli anni Cinquanta, avrebbe dato della checca a quel millennial di Daniel Craig, il quale intanto, però, secondo i nostri canoni inversi, passa per dinosauro misogino assieme a Sean Connery, Roger Moore e Timothy Dalton. Conosceste il vero Bond… altro che misoginia. La misoginia è il meno.  In “Vivi e lascia morire”, pubblicato nel 1954, i cattivi contro i quali James  si batte alla morte sono dei neri. Anzi dei “brutali scimmioni negri” (pagina 74 dell’edizione italiana). E sono comandati da una specie di mostro d’ebano, tale Mr. Big, “gigante negro” di oltre due metri, una simil-bestia  le cui animalesche sembianze sono rese appena un po’ più accettabili dal “naso grande ma non così tipico della sua razza”. Bond, nello specifico, lo affronta in un locale di Harlem in cui “l’aria calda era impregnata dell’odore dolciastro e ferino di duecento corpi negri”, aiutato da una donna bianca, Solitaire, “col suo viso bello, nato per comandare, il viso della figlia di un padrone di schiavi della Francia coloniale”.

E questo per tacere delle valutazioni sui cattivissimi coreani, il cui “fetore zoologico”  lo investe, i nemici che James deve “rimettere al loro posto nella scala dei mammiferi, ovvero un paio di gradini sotto le scimmie”. In conclusione, non c’è dubbio che Fleming sarebbe rimasto stupito, per così dire,  nell’apprendere che dal 2021 la licenza 007 sarebbe stata affidata a una donna. Per giunta nera. E che tutto questo, inoltre, sarebbe accaduto perché il suo personaggio, intanto divenuto una pappamolla cinematografica, sembrava troppo macho agli occhi dei  suoi sensibilissimi contemporanei.

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  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.