Godetevi questo Bond

In sala l'ultimo 007 con Mr Craig. E si discute già se il prossimo sarà un nero, una donna o un asiatico

Mariarosa Mancuso

Dopo 18 mesi di attesa, esce nelle sale l'ultimo capitolo della saga cinematografica con il personaggio ideato da Ian Fleming. Martini fuori scena, l'agente segreto lavora per la Cia (fine spoiler)

Quante cose si possono cambiare di James Bond, pur continuando a chiamarlo James Bond? E’ il dilemma ben illustrato dalle calze di lana che la servetta del filosofo rammenda – e rammenda, e rammenda – con il filo di seta. Finché sono più seta che lana: possiamo ancora chiamarle calze di lana? 


“No Time to Die” – 25esimo film della saga cinematografica con il personaggio di Ian Fleming – esce oggi nelle sale di quasi tutto il mondo. Dopo 18 mesi di attesa. Per pandemia, e perché i budget colossali – spesi in stuntman, macchine e moto da fracassare, laboratori supersegreti per fabbricare la definitiva arma virale che opera sul Dna (non ditelo a Freccero) – si recuperano soltanto con l’uscita al cinema.

“Mi chiamo Bond, James Bond” non ha finora svolto indisturbato il suo mestiere da agente segreto. Dai Martini “mescolati, non shakerati” al modo di trattare le belle donne in abito da sera, ogni dettaglio ha passato il suo brutto momento. Anche il fascino di Daniel Craig, considerato inadatto al ruolo che fu di Sean Connery. E pure lui, mica era pulito: per il regista Cary Fukunaga “sostanzialmente uno stupratore”. E va sempre peggio: i woke sono isterici, la maschilità è tossica, l’imperialismo non ne parliamo, basta con la carne rossa, lo smoking su misura è uno spreco. Per il Guardian, 007 fa da parafulmine nelle guerre culturali. Giunto a scadenza il contratto di Mr Craig – “non un giorno in più da Bond, fossi matto” – si discute se il prossimo agente segreto sarà un nero, una donna, un asiatico. I fedelissimi sceneggiatori Neal Purvis e Robert Wade hanno chiamato a bordo Phoebe Waller-Bridge di “Fleabag”. Non ha fatto granché, ma è stato un gran richiamo pubblicitario. 


Sempre sotto tiro – anche di un fan club che comunque dice “era meglio prima” – Bond ha fatto quello che chiunque farebbe, nel suo smoking. Ha mollato i servizi segreti di Sua Maestà per andarsene in Giamaica, in barca a pescar pesci (omaggio a Fleming, che in Giamaica trascorreva due mesi l’anno). “No Time to Die” comincia con un prologo numero 1 – Léa Seydoux bambina inseguita da un tipaccio in maschera, su un lago gelato. Seguìto dal prologo numero 2. Sempre Léa Seydoux, adulta e strizzacervelli: messo da parte il taccuino, amoreggia in una perfetta fuga romantica con James Bond, sembra dalle parti di Matera. Sembra. Tale è lo choc provocato dall’agente segreto che fa “picci picci, dimmi i tuoi segreti e io ti dirò i miei” che la geografia uno se la dimentica.


I sempre magnifici titoli di testa arrivano assieme al primo sbadiglietto. Del resto il film non fa sconti, dura quasi tre ore. A richiamare James Bond in servizio è la Cia, non l’MI6 (un Ralph Fiennes privo di fascino, nel ruolo di M: rivogliamo Judi Dench). I Martini erano già usciti di scena, alla domanda “mescolato o shakerato” il nostro aveva già risposto “chi se ne frega”. I servizi segreti britannici hanno già dato dato via la licenza con il numero 007. L’attore e la produzione raccomandano di non fare spoiler, e noi non ne faremo. Servirebbero, per dirimere la questione delle calze di lana rammendate con il filo di seta. E’ ancora James Bond uno che fa il sentimentale e finalmente esce a cena con Miss Moneypenny?

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