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Hollywood Fusion

Anche nel mondo del cinema il motto è crescere o morire. Lezioni dall'accordo Caa-Icm

Stefano Cingolani

I giganti dell’èra digitale, da Apple Tv a Netflix, hanno costretto i signori dello spettacolo, come Creative Artists Agency e Icm Partners, a trasformarsi, a fondersi, per ottenere capitali e quote di mercato necessarie a competere. O forse soltanto a sopravvivere

Una, la più grande, ha fatto splendere una miriade di star, Meryl Streep, Brad Pitt, Beyoncé tanto per citare qualche nome. L’altra, la più piccola, ha nel suo carnet vip come Spike Lee, ma anche la National Football League. Insieme la Creative Artists Agency (Caa) e la Icm Partners, possono lanciare molti altri nel firmamento dello spettacolo, attingendo alle nuove leve che premono alle porte non più soltanto degli studios di Hollywood, ma delle catene televisive in streaming. L’annuncio che la Caa ha acquistato la rivale Icm ha colto di sorpresa solo perché l’operazione è stata negoziata in gran segreto dai rispettivi top manager Bryan Lourd della Caa e Chris Silbermann, ma era nell’aria: il grande consolidamento (il Gran Reset con le maiuscole per far piacere a Carlo Freccero) trasforma radicalmente anche il mondo un tempo popolato da talent scout. Lo show business è tutto un terremoto ed è lontano dal trovare un nuovo equilibrio. Cinema, televisione, musica, sport, arte, si muovono con la rapidità di un clic sovvertendo consolidate gerarchie. Altro che i Mino Raiola o i Lucio Presta, in Italia (e anche in Europa) siamo ancora nella fase artigianale, quella degli impresari, dei procuratori, degli agenti, dei mercanti con le loro gallerie-boutique; al di là degli oceani l’industria ha raggiunto la sua maturità, anzi ormai si avvia oltre la frontiera 4.0.

 

L’intrattenimento è in mano ai giganti dell’èra digitale: Netflix, Apple Tv, Amazon Prime (a maggio ha ingoiato la storica Metro Goldwyn Mayer) hanno costretto quelli che fino a pochi anni fa erano i signori dello spettacolo a trasformarsi, a fondersi, a gonfiarsi per ottenere sia i capitali sia le quote di mercato necessarie per competere, forse soltanto sopravvivere. Crescere o morire è il mantra persino per Disney, Discovery e Warner Media, Universal. Questo nuovo paesaggio è la conseguenza delle turbinose innovazioni tecnologiche e di una crescente richiesta da parte del pubblico, soprattutto tra le nuove generazioni. Offerta e domanda vanno a braccetto, decidere chi viene prima è una vexata quaestio ricca di componenti culturali e politiche, ma per quei praticoni che guidano le imprese è come scegliere tra l’uovo e la gallina. 

 

Il cambiamento non ha risparmiato autori, attori, musicisti, pittori, atleti cioè tutti coloro che calcano le scene. Un tempo dive e divi dettavano legge e contratti, oggi gli equilibri di potere si sono rovesciati. Scarlett Johansson (rappresentata dalla Caa) che cita in tribunale la Disney è un esempio chiaro. La casa di Topolino ha deciso di rilasciare “Black Widow” contemporaneamente nelle sale cinematografiche e su Disney+, cioè in streaming, da dove vengono ormai i veri profitti. La vedova nera dal nome scarlatto si è sentita defraudata e sminuita. Un esempio eloquente di come butta anche per le superstar. Non ci sono più divini né divine, l’unico divo ormai è il web. Un fenomeno nuovo dal sapore antico: è quel che sempre succede quando scende in campo un’innovazione capace di spiazzare i rapporti precedenti, quelli produttivi e quelli umani. 

 

Il matrimonio tra Caa e Icm è un tentativo di rispondere e rilanciare. Non il primo. Già nel 2009 la William Morris si era fusa con Endeavor trasformando Hollywood in una città con due sole agenzie, ricorda il New York Times. Con organizzazioni più grandi e ricche di mezzi sia monetari sia professionali, anche attori di primo piano o registi (persino Steven Spielberg) si sentono più protetti. Il potente sindacato degli attori, Sag-Aftra, ha reagito positivamente: “È benvenuto ogni cambiamento che aumenti il potere negoziale per talenti i quali, su base individuale, non possono competere con i colossi multimiliardari che producono i contenuti”. Un ragionamento pragmatico e non fa una piega. Dubitiamo che in Italia ci sarebbe stata la stessa reazione, probabilmente sarebbe prevalso un sentimentale appello ai bei vecchi tempi, magari quelli di Eduardo Scarpetta che faceva tutto da solo (per citare una figura rilanciata dal film di Mario Martone). A spingere verso il consolidamento è stato anche il fondo Tpg Capital, specializzato in fusioni, acquisizioni e risanamenti aziendali, che possiede la maggioranza della Caa e investe anche in Spotify, Univision e Stx Entertainment. Un fondo speculativo? Piuttosto un fondo costruttivo.
 

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